Prima ricchezza, ma fragile. L’agroalimentare continua a raggiungere traguardi d’eccellenza ma deve risolvere ancora grandi problemi
I campi e le stalle devono fare i conti con un aumento fino al 30% dei costi di produzione che mette a rischio la competitività delle imprese agricole.
Prima ricchezza, ma che fragile ricchezza! E’ la condizione, in sintesi, del grande comparto agroalimentare italiano alle prese con una vero successo delle proprie vendite in tutto il mondo ma anche con una serie poderosa di problemi da affrontare. Numeri positivi da capogiro da un parte, quindi, ma anche negativi tali da far comprendere quanto sia necessario lavorare, e molto, per consolidare i successi raggiunti.
Prima ricchezza, dunque. Il dato è stato sottolineato, con ragione, da Coldiretti nel corso dell’ultimo Meeting di Rimini e nell’ambito di un incontro dedicato alla sfida della nutrizione al tempo della pandemia. I coltivatori hanno evidenziato che oggi la filiera agroalimentare vale il 25% del Pil con 538 miliardi di euro. Ad essere coinvolti circa 4 milioni di lavoratori impegnati in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. Un colosso economico, ma anche sociale e di tutela ambientale, il cui successo è stato confermato anche dal balzo in alto delle esportazioni che nei primi sei mesi del 2021 sono cresciute dell’11,2% arrivando a sfiorare la bella cifra di 50 miliardi di euro, “mai registrata nella storia dell’Italia” è stato detto.
Tutto bene, sembrerebbe. In realtà non è proprio così. Al di là delle bizze del clima – che ha tartassato le campagne con ondate successive di maltempo e poi di gran secco -, i campi e le stalle devono fare i conti con un aumento fino al 30% dei costi di produzione che mette a rischio la competitività delle imprese agricole, andando ad impattare pesantemente sui prezzi di vendita. A lanciare l’allarme questa volta è stata l’Alleanza delle cooperative agroalimentari che ha segnalato la pericolosa congiuntura caratterizzata dall’incremento dei prezzi delle materie prime, delle commodities energetiche e delle difficoltà di approvvigionamento dei materiali come imballaggi, tappi, capsule, pallets, alluminio. Una condizione che mette a rischio proprio quel traguardo delle esportazioni di cui si è appena detto, ma anche i bilanci delle imprese, la loro competitività oltre che far lievitare i prezzi interni dei mercati alimentari.
Al di là dei costi di produzione, le stesse esportazioni sono minacciate anche dalla concorrenza sleale che dilaga. “La previsione di chiudere il 2021 con esportazioni agroalimentari per 50 miliardi consente di raggiungere la metà del mercato dei falsi prodotti italiani nel mondo”, ha sostenuto in una nota pochi giorni fa Filiera Italia che raccoglie alcuni dei migliori esempi dell’agroalimentare nazionale. L’organizzazione addirittura indica in un +15,2% a giugno 2021 su giugno 2020 la crescita delle vendite all’estero, ma spiega anche che i falsi agroalimentari hanno un valore “ormai ben oltre i 100 miliardi di euro” e costituiscono “una piaga che non si arresta”.
Ricchezza fragile, si diceva. E pare davvero essere così. Ma a questo punto che fare? Le indicazioni dei diversi attori della lunga e complessa filiera agroalimentare sono pressoché le stesse (seppur con sfumature e declinazioni diverse). Il dettato è “fare sistema”. Un metodo che, drammaticamente, ha assunto ruolo e importanza nuovi nel corso di questi due anni di pandemia da Covid-19 che hanno fatto capire, più e meglio di prima, l’importanza strategica dell’agroalimentare anche per l’Italia. Compito comunque difficile e quanto mai arduo, quello di “fare sistema”, al quale non è chiamata solo la filiera agroalimentare ma l’intero Paese.