Pregi e difetti del premierato all’italiana. Alla Difesa parlano la firmataria Casellati e il costituzionalista Pizzolato

Per la prima firmataria Casellati il premier eletto dal popolo «aumenterà la stabilità del Governo». Diverso il parere del docente Pizzolato: «I poteri del presidente della Repubblica sono alterati»

Pregi e difetti del premierato all’italiana. Alla Difesa parlano la firmataria Casellati e il costituzionalista Pizzolato

Davanti alle foto dei predecessori, Massimo D’Alema, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi, ritratti nella “galleria dei presidenti” di Palazzo Chigi, Giorgia Meloni ha lanciato il suo aut aut agli italiani: «Volete decidere voi o stare a guardare mentre i partiti decidono?». Così si è espressa la premier nella puntata della rubrica social “Appunti di Giorgia” dedicata alla riforma del premierato, cui è legata la nascita della “Terza Repubblica”. Il disegno di legge costituzionale, che salpa dal Senato, porta la firma del ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa, la senatrice padovana Maria Elisabetta Alberti Casellati, esponente di Forza Italia. L’iter delle leggi costituzionali prevede due letture, da parte di entrambi i rami del Parlamento, a distanza di almeno tre mesi. Per scongiurare l’incognita del referendum confermativo, nella seconda lettura servirà il sì della maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna delle due Camere. Il che significa raggiungere 267 voti alla Camera e 136 al Senato: un obiettivo che per ora appare lontano. Per il ministro Casellati, che nei giorni scorsi ha fatto il giro dei media per illustrare il suo progetto, «il premierato all’italiana è la riforma delle riforme. Consentirà ai cittadini di scegliere il loro presidente del Consiglio, aumenterà la stabilità del Governo, non stravolgerà la Costituzione e non limiterà le prerogative del presidente della Repubblica. Il testo non è blindato, ma eventuali cambiamenti devono essere in linea con l’impianto che ci siamo dati». I poteri del presidente della Repubblica, secondo Casellati, non vengono toccati: restano in capo al Quirinale la nomina dei ministri, il compito di promulgare le leggi, l’essere il capo del Consiglio superiore della magistratura e delle Forze armate. Così pure il potere di scioglimento delle Camere: «Noi però siamo partiti dal principio che la scelta del premier è affidata al popolo. Nel caso in cui il premier eletto non possa completare il suo mandato, tornerà in campo il capo dello Stato per scegliere un parlamentare eletto nella stessa coalizione. Diremo no ai tecnici, diremo no agli inciuci e agli intrighi di palazzo». A quale modello di legge elettorale si sta pensando? «In Costituzione – argomenta il ministro per le Riforme – entrerà il premio di maggioranza, che deve garantire almeno il 55 per cento dei seggi alla coalizione vincente. La legge elettorale deve coniugare il principio della rappresentanza con quello della governabilità. Studierò vari modelli e penso di ragionare su questi insieme alle opposizioni. Perché possa scattare il premio di maggioranza ci vorrà comunque una soglia minima». Ma perché la riforma Casellati vuole eliminare i senatori a vita? «Senza nulla togliere al valore dei senatori a vita che oggi sono in carica, da un lato vogliamo dare a tutte le nomine una legittimazione democratica, dall’altro la riduzione del numero dei senatori rende le maggioranze realmente ridotte perché duecento eletti sono pochi. Con numeri risicati, i senatori a vita possono risultare determinanti».

Sulla riforma del premierato abbiamo chiamato in causa il prof. Filippo Pizzolato, costituzionalista, docente ordinario di Istituzioni di diritto pubblico al Bo e docente di Dottrina dello Stato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il quale non nasconde i suoi rilievi critici. Prof. Pizzolato, modificando quattro articoli della Costituzione, il disegno di legge Casellati punta a introdurre l’elezione diretta del premier. Sarà davvero il popolo a eleggere il capo del Governo? «La riforma proposta, che introduce un inedito premierato, è mossa dall’ossessione per i “ribaltoni”, ma affronta il problema al prezzo di pesanti irrigidimenti, senza toccarne la radice profonda: partiti inconsistenti e non democratici producono necessariamente una classe politica instabile e leadership deboli e precarie. Si altera l’equilibrio costituzionale per provare a rimediare all’inaffidabilità della classe politica». La riforma garantisce il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio dei ministri. Quale legge elettorale immagina verrà varata? «Non so quale legge elettorale, ma certo è ben paradossale che il caposaldo di una legge elettorale – definita una “porcata” dal suo ispiratore – e dichiarata incostituzionale della Corte costituzionale (sentenza 1/2014), e cioè l’assegnazione di un premio di maggioranza non condizionato al raggiungimento di una certa percentuale di consenso, venga elevato in Costituzione. La trovo una scelta irrispettosa della Corte costituzionale. Ma soprattutto, in quella sentenza, la Corte affermava che quella disciplina “determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”. Sono dunque in gioco principi fondamentali della Costituzione, sicché, a mio avviso, questa parte di riforma sfiora i limiti della revisione legittima». Questa riforma di fatto indebolisce i poteri del presidente della Repubblica, che potrà soltanto nominare il capo del Governo “scelto dagli elettori” e non più indicarlo, come avviene adesso. «Viene difficile comprendere come si possa affermare che i poteri del presidente della Repubblica non siano alterati e depotenziati: i poteri di nomina del Governo, di risoluzione delle crisi di Governo, perfino la nomina di senatori a vita. Gli stessi persistenti poteri di garanzia del presidente della Repubblica risulteranno indeboliti perché, nella “diarchia” che si creerebbe tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio, il secondo potrà vantare l’investitura diretta elettorale e contrapporsi da una posizione di forza al presidente della Repubblica “non scelto dai cittadini”. Aggiungiamoci pure che il premio di maggioranza garantirà alle forze politiche di scegliere pure il presidente della Repubblica e… il gioco è fatto».

Nel caso in cui fosse necessario cambiare “in corsa” il premier, la maggioranza potrà scegliere il sostituto esclusivamente fra i parlamentari della coalizione uscita vincente dalle urne. Addio, insomma, ai governi tecnici. «Non mi lacera la nostalgia per i governi tecnici (che poi devono comunque avere la fiducia di una maggioranza parlamentare). Il problema che mi preoccupa è lo squilibrio tra poteri, e non solo rispetto al presidente della Repubblica, depotenziato, ma ancor più rispetto al Parlamento, già avvilito dalla condotta dei partiti e dalla prepotenza dei Governi (si pensi ai modi dell’approvazione del bilancio o all’abuso persistente della decretazione d’urgenza). Si scambia il Parlamento per un consiglio comunale. Per giudicare questa riforma costituzionale, ognuno dovrebbe immaginarsi di essere dalla parte di chi è all’opposizione, non dalla parte del potere...». La riforma darebbe anche il benservito ai senatori a vita: d’ora in poi non ne verranno più nominati e i cinque attualmente in carica Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre andranno “a esaurimento”. «L’eliminazione dei senatori a vita avrebbe un senso nel contesto della riforma del bicameralismo in senso federale, con un Senato cioè rappresentativo delle autonomie locali. Così è solo un ulteriore indebolimento dell’autorevolezza del Parlamento, ostaggio di una classe politica inadeguata e incapace di un’autentica riforma».

Elezione diretta: favorevole il 57 per cento

Secondo un recente sondaggio di Demos per Repubblica, il 57 per cento degli intervistati si dice favorevole all’elezione diretta del presidente del Consiglio o della Repubblica: le due opzioni, infatti, hanno totalizzato lo stesso risultato.

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