Ponti fatti di parole. Rimanere “buoni” sul web con una bussola chiamata Manifesto
L’odio social non soltanto inquina l’ambiente digitale, ma lascia cicatrici profonde anche nel mondo reale. Con stili giusti, però, internet sa accogliere le periferie esistenziali
L e parole che scegliamo di usare sono lo specchio della nostra identità e dei nostri valori. Attraverso di esse, possiamo esprimere empatia e gentilezza, ma anche odio e disprezzo. Hanno il potere di abbracciare o respingere, accogliere o ferire. Possono avvicinarci agli altri, creando ponti di comprensione e collaborazione, o possono allontanarci, innalzando barriere. E sui social? Qui le parole hanno un effetto amplificato «proprio come quando senti qualcuno gridare per strada e questo ti spinge a correre, così anche i contenuti hanno lo stesso effetto sulle nostre emozioni e sulle nostre reazioni, portandoci a condividere» scrive il professore Jonah Berger. Quella che stiamo vivendo è un’era in cui i social media sono una parte integrante delle nostre vite. Uno strumento straordinario, perché creato per favorire il confronto e lo scambio di idee. Eppure, nel corso degli anni, abbiamo potuto constatare quanto sia facile imbatterci in discussioni che scivolano facilmente nell’insulto e nella rabbia. Un modus operandi che, non soltanto inquina l’ambiente digitale, ma lascia cicatrici profonde anche nel mondo reale. È per questo motivo che l’utilizzo di un linguaggio gentile e non ostile diventa ancora più cruciale. Online (ma anche offline) la gentilezza non è solo una questione di buone maniere; è un atto di rispetto verso l’altro e verso noi stessi. Un linguaggio sostenibile aiuta a mantenere sicuri i luoghi del digitale. Parole O_Stili nasce proprio da questa necessità ed è oggi un progetto di sensibilizzazione contro la violenza delle parole. L’ambizione della nostra community è quella di ridefinire lo stile con cui stare in Rete e di far riflettere sull’importanza di scegliere le parole con cura. L’idea è nata nell’agosto 2016 chiacchierando con un paio di colleghi della mia agenzia di comunicazione, SpazioUau. Insieme abbiamo evidenziato una sintomatica stanchezza nell’“abitare i luoghi” dell’online. Da qui è sorta la domanda: «Perché non proviamo a capire seriamente cosa possiamo fare?». Un confronto che è diventata una missione collettiva, il cui primo momento di confronto è avvenuto il 17 e 18 febbraio 2017 a Trieste, con Gianni Morandi come primo firmatario del decalogo, scelto proprio per il suo stile positivo di vivere le relazioni digitali. In quell’occasione è stato presentato il “Manifesto della comunicazione non ostile”, una carta etica che elenca dieci princìpi utili a migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in rete. Dal momento della sua presentazione i princìpi hanno fatto un percorso straordinario, passando di bacheca in bacheca, arrivando nelle scuole, nelle università, in centinaia di comuni italiani, aziende, palestre, alberghi e altri luoghi di ritrovo. Grazie a un lavoro di partecipazione attiva della community, il Manifesto è stato tradotto in oltre 38 lingue e declinato in diversi ambiti: politica, pubblica amministrazione, aziende, infanzia, sport, scienza e inclusione. Ha ispirato progetti editoriali, una canzone per bambini, trasmissioni televisive, un diario e una collezione di quaderni, oltre a numerose iniziative di collaborazione con aziende, pubblica amministrazione e Terzo settore. Oggi, il Manifesto è uno strumento vivo e attivo in vari settori della società civile, è una vera e propria bussola della nostra vita digitale. Un esempio concreto della sua utilità? Prendiamo il principio numero 9, che afferma: «Le idee si possono discutere le persone si devono rispettare. Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare». Quante volte durante una conversazione in cui non ci troviamo d’accordo con l’interlocutore, facciamo difficoltà a separare le idee dalle persone? Spesso finiamo per criticare chi parla, invece di concentrarci sulle idee. Pensiamo che questo renda le nostre argomentazioni più forti, ma è un errore di prospettiva. Quando ti capita di cadere in questo tranello, online o offline, prova a fare un piccolo esercizio: fermati e mantieni il focus sulle idee e non sulla persona. Usa frasi che iniziano con “Penso che...” o “La mia preoccupazione riguardo a questa idea è...”. E, se non basta, conta fino a cinque e pensa a come puoi riformulare la tua opinione senza attaccare la persona. Crediamo profondamente che parlare con il cuore sia strettamente legato al “sentirsi accolti”. Come sosteneva la poetessa Maya Angelou «le persone possono dimenticare ciò che hai detto, ciò che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire». È possibile scegliere questo modo di comunicare anche sui social? Noi di Parole O_Stili pensiamo proprio di sì. Si tratta di far prevalere non la forza delle idee, ma il desiderio di incontrarsi, cercando ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide. Questo implica scegliere le “parole ponte”, come suggerisce il quinto principio del Manifesto della comunicazione non ostile. In questo modo, anche i social possono diventare il mezzo per raggiungere quelle che papa Francesco chiama le “periferie esistenziali”, fatte di solitudini profonde in un mondo iperconnesso.
Rosy Russo
Presidente e Fondatrice dell’Associazione Parole o_stili