Polarizzazione e memoria. Un pensiero di fronte alla crisi
Gli italiani chiedono di poter guardare al futuro con fiducia e la politica deve adoperarsi per questo.
Secondo uno dei più celebrati analisti politici internazionali, Moises Naim, la caratteristica “tipica” delle democrazie del XXI secolo è l’estrema polarizzazione. Una dinamica che spacca letteralmente i Paesi in fazioni contrapposte, con una sistematica delegittimazione dell’avversario, fino a negargli lo stesso diritto di essere in campo. In questo contesto, sostiene Naim, “invece di ridurre la polarizzazione le campagne elettorali la ingigantiscono. Invece di contribuire a placare la tensione e unire il Paese, adesso promuovono la radicalizzazione”. Non solo. “Le democrazie polarizzate fanno fatica a formare governi, a tenere insieme le alleanze”. Secondo Naim si tratta di un fenomeno globale, ma viene agevole ritrovare in questa analisi anche quanto è avvenuto in Italia a partire dalle elezioni politiche del 2018 e fino a queste settimane. Forse aiuta anche a leggere la realtà nostrana con una prospettiva più ampia, senza con questo cancellare le responsabilità specifiche di questo o quel soggetto.
Questa polarizzazione estremizzata (di per sé un’ordinata dialettica tra poli opposti è la normalità in una democrazia) è stata resa possibile dalla diffusione massiccia e da un utilizzo mirato di internet; affonda però le sue radici negli effetti economico-sociali di una globalizzazione non adeguatamente governata, che ha progressivamente allargato le disuguaglianze all’interno dei Paesi. Le conseguenze della pandemia, dopo una prima fase di ricompattamento collettivo, stanno nuovamente producendo una spinta divaricante. Così che il populismo e il sovranismo, le ideologie profondamente intrecciate tra loro (si potrebbe parlare di populismo sovranista) che hanno sollecitato e alimentato la polarizzazione dentro e fuori gli Stati, hanno rialzato la testa dopo un periodo di relativa tregua e hanno ripreso a operare nella direzione opposta a quella che sarebbe necessaria. Oggi c’è bisogno di ricucire “il tessuto sociale lacerato dalle fatiche economiche e sociali”, ha sottolineato il cardinale Bassetti nell’ultimo Consiglio permanente della Cei. Non di innescare nuovi scontri e nuove polemiche distruttive. Anche se non siamo arrivati all’acme raggiunto negli Usa, ci siamo pericolosamente avvicinati a quel tipo di esiti. Sì, perché se l’uso della violenza fisica è indiscutibilmente un salto di qualità (negativo), le sue premesse sono già contenute nell’estremismo delle ideologie. Anche le parole possono essere molto violente e ormai dovremmo saperlo tutti.
Nel recente intervento al Quirinale in occasione della Giornata della Memoria, il capo dello Stato ha citato una frase di Lauro De Bosis, l’intellettuale morto trentenne nel volo di rientro su un piccolo aereo (era il 1931) dopo aver gettato su Roma migliaia di volantini antifascisti. De Bosis era un liberal-conservatore, uno di “destra”, insomma, e così scriveva: “L’atteggiamento che consiste nell’ammirare il fascismo pur deplorando gli eccessi non ha senso. Il fascismo non può esistere che grazie ai suoi eccessi. I suoi cosiddetti eccessi sono la sua logica”.
Gli italiani chiedono di poter guardare al futuro con fiducia e la politica deve adoperarsi per questo. Ma la costruzione del futuro impone che si facciano i conti con il passato senza margini di ambiguità e reticenze. Sempre nella Giornata della Memoria il Papa ha messo in guardia da “proposte ideologiche che vogliono salvare un popolo e finiscono per distruggere un popolo e l’umanità”. Bisogna “stare attenti perché queste cose possono succedere un’altra volta”.