Parla il direttore del Due Palazzi Claudio Mazzeo: "Dentro, i volontari sono la vera ricchezza"
Al Due Palazzi mancano i fondi per fare ogni cosa, ma il forte legame con il territorio rende la casa di reclusione padovana una realtà privilegiata dove si fa molto, pur con poche risorse. Tra i detenuti le patologie psichiatriche e psichiche sono numerose, come del resto quelle legate all'età che avanza (il più anziano dei detenuti ha 78 anni) e l'istituto avrebbe bisogno di una ristrutturazione generale. Intervista a tutto tondo al direttore Claudio Mazzeo.
Ciò che appare immutabile, granitico a chi lo osserva da fuori, è invece un organismo vivo, di cui prendersi cura e con cui stare al passo. Il carcere, ogni carcere, cambia repentinamente, si evolve, è diverso da qualsiasi altro.
Claudio Mazzeo, da ventisei anni è direttore di istituti di pena prima al Sud, nella sua terra d’orgine in Sicilia nelle case circondariali di Trapani, al Piazza Lanza di Catania e a Caltagirone, poi al Nord, prima a Cuneo (con il reparto di massima sicurezza) e ora da quasi un anno e mezzo alla casa di reclusione Due Palazzi di Padova e al circondariale di Rovigo.
«Oggi mancano fondi per qualsiasi cosa – è l’amara considerazione di Mazzeo – Il trattamento detentivo ha un costo che gli istituti italiani faticano sempre di più a sostenere e, dunque, l’umanizzazione della pena è possibile fino a un certo punto. Ma Padova è una realtà fortunata, forse unica nel panorama nazionale, perché da decenni esiste una profonda sinergia tra il carcere e il territorio. Questo significa riuscire a fare molto anche in assenza di risorse. Penso alle associazioni che garantiscono le esigenze primarie ai detenuti più poveri fino alle attività culturali come lo studio, il teatro, lo sport, la musica… Alle cooperative che danno lavoro a 150 detenuti (altri 130 sono impiegati direttamente dall’amministrazione penitenziaria, ndr). Senza dimenticare la Chiesa di Padova che con la parrocchia assicura cinque messe festive frequentate da circa 250 persone ogni settimana, la catechesi, l’accompagnamento spirituale, la formazione ai sacramenti...».
Com’è cambiato il carcere da quando nel ’93 ha iniziato la sua carriera?
«Le faccio un esempio emblematico: al circondariale di Caltagirone ho visto il primo volontario. Era una suora. Oggi al Due Palazzi abbiamo 500 volontari per una popolazione di circa 600 persone di una decina di nazionalità diverse: quasi un rapporto di uno a uno. Allora i detenuti non avevano grandi opportunità, trascorrevano tutto il tempo in cella con le conseguenze negative che questo comporta. Pian piano in Italia le cose si sono trasformate, con una consapevolezza diversa, più vicina al dettato costituzionale della pena intesa come rieducazione. Il carcere sarà sempre un luogo di sofferenza, ma è necessario aprirlo sempre di più, sebbene questo comporti maggiori rischi da fronteggiare per garantire la legalità; le persone detenute hanno bisogno di relazioni positive, non possono vivere senza. Solo da qui può innescarsi il loro cambiamento interiore».
Come stanno i detenuti al Due Palazzi?
«A Padova la situazione non è così grave come in altre parte d’Italia però i problemi psichiatrici e psichici continuano a esserci; le patologie, che sono nella maggior parte dei casi strettamente legate alla pena, sono alte e numerosi detenuti seguono terapie antidepressive. Avendo però la possibilità di muoversi, di uscire dalla cella per frequentare la scuola, il lavoro, le attività in generale, si avverte meno il peso della detenzione. Al Due Palazzi ci sono anche parecchi anziani (il più vecchio ha 78 anni) con patologie cardiocircolatorie, ipertensione, diabete. Tra i maggiori problemi c’è il caldo d’estate che rende insopportabili le condizioni di vivibilità. Lo scorso anno siamo riusciti a sostituire i televisori e ad acquistare frigoriferi e ventilatori per chi non poteva permetterselo. L'istituto, che risale agli anni Ottanta, avrebbe bisogno di un’importante e generale ristrutturazione».
Il lavoro basta?
«Ne servirebbe sicuramente di più per garantire una maggiore rotazione tra i detenuti, impiegandone un numero superiore. Cambierebbe tutto: non solo il lavoro è rieducazione, ma aiuta il detenuto a mantenersi, a contribuire al sostegno della famiglia e, una volta scontata la pena, la recidiva si abbassa notevolmente. Inoltre, il detenuto povero studia qualsiasi mezzo illecito per guadagnare».
Quale dovrebbe essere il rapporto del carcere con la città di Padova?
«Il 10 giugno ho invitato il sindaco a far visita ai suoi 600 cittadini che vivono qui, a fermarsi con loro, a parlare di diritto di cittadinanza, di lavoro, di reinserimento sociale… di ciò che vuole pur di avviare una relazione con loro. Personalmente mi piacerebbe che i detenuti del Due Palazzi si prendessero cura della loro città in forma volontaria, con attività di pubblica utilità che aiutassero Padova a essere ancora più bella e in ordine. Sarebbe un doppio vantaggio».