Open Arms: Veronica Alfonsi (coordinatrice Italia), “noi non ci muoviamo, Spagna e Italia si assumano le responsabilità del soccorso”
“Noi non ci muoviamo. O meglio, noi non possiamo muoverci. Questa non è una presa di posizione, ma non possiamo farlo e non siamo nelle condizioni di farlo”.
Risponde così la Open Arms alla richiesta di trasportare i 107 migranti a bordo sull’isola spagnola di Minorca in seguito all’accordo trovato dai governi italiano e spagnolo. A spiegare al Sir le motivazioni che spingono la Open Arms a dire di no è Veronica Alfonsi, coordinatrice della sede italiana di Proactiva Open Arms. “Dopo 18 giorni di stallo, in cui abbiamo vissuto situazioni veramente difficili, dove abbiamo chiesto 6 evacuazioni (ieri c’è stata una emergenza con 4 persone che si sono gettate in acqua), crisi di panico e richieste quotidiane di aiuto, il governo italiano e spagnolo si sarebbero messi d’accordo e chiedono a noi di portate le persone a bordo a Maiorca. Ci chiedono quindi di riaccendere il motore a 800 metri da un porto italiano e di fare mille chilometri per raggiungere un porto spagnolo e dire a queste persone che devono affrontare altri 3 giorni di viaggio. Noi questa cosa non la possiamo fare. Lo abbiamo detto molto chiaramente. Non ci sono le condizioni a bordo per fare una cosa del genere né di sicurezza né di equilibrio psicologico delle persone”.
Dopo il rifiuto della nave Open Arms di dirigersi ad Algeciras, e il pugno duro del ministro Salvini – “In Italia non scendono” – Madrid ha proposto alla nave della Ong, “il porto più vicino”, ovvero Mahon, sull’isola di Minorca (Baleari). Ma la Open Arms non si muove: “Crediamo di aver fatto il nostro dovere a pieno”, spiega Alfonsi. “Abbiamo gestito questa situazione difficilissima cercando di farlo al meglio. Se ora il governo spagnolo e il governo italiano si sono messi d’accordo, si assumano le responsabilità del soccorso di queste persone, trovino loro il modo per farle sbarcare il più velocemente possibile in un porto sicuro. La nostra soluzione – che è ovviamente la migliore – sarebbe quella di far sbarcare le persone nel porto di Lampedusa visto che siamo ad un passo dalla costa e poi organizzare una loro distribuzione in Spagna. Vogliono mandare loro delle navi sicure e organizzare il trasporto in Spagna? Lo facessero. Noi ribadiamo che si tratta di un ulteriore violazione dei diritti. Siamo disposti a fare di tutto perché queste persone scendano al più presto a terra. Ma non siamo assolutamente in grado di portarli da nessuna parte se non nel porto di Lampedusa e questo per la situazione che c’è a bordo, per i 18 giorni che sono trascorsi di portare le persone”. Un medico di Emergency ed un mediatore culturale sono saliti a bordo ed hanno stilato un report medico e psicologico molto approfondito, evidenziando criticità molto gravi.
“Hanno evidenziato – racconta Alfonsi – una situazione psicologica di fragilità generalizzata. Sono tutte persone che vengono da violenze, abusi reiterati subiti in Libia in centri di detenzione. Ledonne che abbiamo a bordo, sono state tutte abusate più e più volte, gli uomini hanno subito violenze di ogni tipo. Ora sono state costrette a stare 18 giorni sul ponte di una nave, in uno spazio limitato, al caldo. È chiaro che sono persone provatissime psicologicamente. Basta una piccolissima cosa per trasformare questa situazione di tranquillità che i volontari e le volontarie stanno cercando di mantenere a bordo, in una situazione esplosiva, con crisi di panico, pianto, svenimenti e momenti di tensioni”. Attualmente a bordo della Open Arms ci sono 107 persone e 19 volontari e volontarie.