Non solo sport. Letteratura, arte, canzone hanno celebrato la lunga presenza del calcio
Il posto d’obbligo che il calcio si è conquistato nell’immaginario collettivo.
E d’altronde se una partita di calcio ha sigillato durante la Grande Guerra, presso Ypres, la pace almeno natalizia tra inglesi francesi e tedeschi nel 1914 (avrebbero vinto 3 a 2 gli alleati, ma come ci racconta “La tregua di Natale. Lettere dal fronte” edito da Lindau lo sappiamo per sentito dire in alcune lettere dal fonte) allora questi Europei con sedi itineranti possono davvero contribuire alla pace tra i popoli. Soprattutto perché in questa fase di ripresa -sostenuta dal trend dei vaccini- di una vita sociale dopo la cappa plumbea della solitudine si assiste ad una diversa concezione della rivalità calcistica. E forse non solo sportiva. È un po’ come tornare a guardarsi intorno dopo una lunghissima notte, ricominciando a scorgere volti e paesaggi, rendendosi conto dell’importanza dell’altro. E della comunicazione.
Se un libro ci ha parlato di scambio di auguri, doni e abbracci durante un conflitto devastante costato milioni di morti, altri libri hanno continuato a narrare il calcio: si pensi al grande scrittore argentino Osvaldo Soriano, soprattutto ad alcuni racconti di “Fùtbol”, in cui il pallone assurge a metafora dell’esistenza, del predominio del caso e talvolta delle delusioni proprio nel momento in cui sembra di avere il mundial in mano, come è capitato due volte al grande Brasile. Nel quale ha giocato, ammirato da amici e “nemici”, uno che di cultura se ne intendeva, non solo perché era laureato in Medicina: Sampaio de Sousa Vieira de Oliveira era semplicemente Socrates, e di saggezza calcistica era maestro; anzi, non solamente calcistica, visto che era leader di una “democrazia Corinthiana”, come Solange Cavalcante ha raccontato in un suo libro, “Compagni di stadio” (Fandango), singolare storia di una squadra, il Corinthians, che negli anni Ottanta ha rappresentato una vera e propria opposizione contro la dittatura militare allora al potere in Brasile. E il coraggio non mancava: sulla maglia del campionato 1982-83 la squadra del centrocampista-medico-filosofo-politico non portava la pubblicità di qualche multinazionale, ma la scritta “democracia”. Come dare torto allo scrittore José Lins do Rego Cavalcanti (e poi dice che la letteratura non c’entra con il calcio): la vera conoscenza del Brasile passa per il calcio.
A proposito di letteratura, ad alcuni non sarà sfuggito il particolare che una delle poesie del giovane Leopardi si intitolasse proprio “A un vincitore nel pallone” in cui l’autore dell’Infinito elogiava il giovane Carlo Didimi, un suo coetaneo nato non lontano da Recanati, simbolo di tutto ciò che Giacomo non era: forte e vigoroso. La squadra della Triestina è invece la protagonista di cinque poesie del poeta italiano Umberto Saba, che prende spunto da una giornata allo stadio con la figlia. E il calcio era uno dei miti del ritorno alla fisicità e “sacralità” della lotta per Pier Paolo Pasolini, che, a differenza di Leopardi, lo praticava con convinzione: la zona avanzata destra del campo era il suo territorio preferito.
Ma pure l’arte non è stata da meno: il futurismo, basti citare il grande Carlo Carrà, è stato affascinato dal movimento, dalla velocità e dalle improvvise accelerazioni dei ventidue in campo. La Galleria Comunale d’arte moderna di Roma conserva la sua “Partita di calcio” dipinta nel 1935. Ma anche Henri Rousseau, Andrè Lhote e molti altri hanno consegnato alla storia dell’arte la fascinazione di questo sport. Che ha fatto scrivere canzoni epiche a chi non ci saremmo aspettati, come il De Gregori della “Leva calcistica della classe ‘68”, oppure divenute metafora di chi si apre e poi prende un sacco di botte affettive, come “La dura legge del goal” degli 883, o nostalgia pura in “Luci a San Siro” di Roberto Vecchioni. Senza dimenticare il Venditti che in “Grazie Roma” celebra il secondo scudetto dei giallorossi. E ce ne sarebbero infinite altre. A prova del posto d’obbligo che il calcio si è conquistato nell’immaginario collettivo.