Non è solo un problema di età. I giovani salveranno il mondo? Gli scrittori ci suggeriscono di andarci cauti
In letteratura come nella vita non c’è una sola giovinezza, un solo tipo di adolescente: hanno le stesse complessità degli adulti.
Le recenti proposte di privazione del voto agli “anziani” (mai formula umana è stata tanto vaga e soggetta a mille variabili) e del voto a sedici anni hanno sollevato un vespaio di polemiche, e c’era da aspettarselo. Ma non è solo una questione politica. In letteratura, ad esempio, le cose non vanno diversamente: i libri apparentemente per ragazzi – ma i sedici anni di cento o duecento anni fa non sono gli stessi di oggi, è bene ricordarlo – ci presentano ragazzini abbandonati o in fuga che lottano per realizzare se stessi, come nel caso dei racconti di Mark Twain e Daniel Defoe, o giovani turbati e irresoluti, come Arkadij nell’ “Adolescente” di Dostoevskij e in alcuni racconti e romanzi di Federigo Tozzi, un narratore che dovremmo riscoprire. Ma se volessimo rimanere a Dostoevskij, potremmo indicare nell’Aleša dei “Fratelli Karamazov” una delle più pure e affascinanti personificazioni del bene mai apparse sull’orizzonte narrativo di tutti i tempi.
Aleša ha scelto il monastero, quindi la lontananza dal mondo, e questo confermerebbe, secondo alcuni, l’ipotesi del radicale pessimismo del russo. E in effetti, un altro giovane “angelo” dostoevskiano, il principe Myškin, campione di bontà gratuita in “L’idiota”, non è molto ben accolto dalla società russa d’Ottocento. Oltretutto, un premio Nobel per la letteratura, l’inglese William Golding, aveva narrato in una delle sue “favole” allegoriche, “Il signore delle mosche”, la storia di un gruppo di ragazzi che si ritrovano senza adulti in un’isola deserta e che devono fare i conti con un nuovo inizio: il che comprende anche la violenza e l’emarginazione, forse naturali nell’ “uomo biologico”, direbbe Jean Hamburger. Secondo alcuni, però, tornare, se fosse possibile, ragazzini o addirittura bambini potrebbe essere il rimedio contro l’ottusità degli adulti, come nel caso di Alice che capitando in Wonderland assiste desolata ai nonsensi di una classe di dirigenti e colti che sembrano più folli di qualsiasi folle reale.
Se è per questo il protagonista dell’incompiuto “America”, di Franz Kafka, racconto di comportamenti adulti che sembrano a volte senza una logica, è dichiaratamente sedicenne, della serie: la purezza dell’inesperienza di contro al non senso dell’età “della ragione”. L’adolescenza emana una fascinazione senza tempo: basti pensare a Heathcliff di “Cime tempestose”, di Emily Brontë, che, rifiutato perché trovatello, pur rispondendo a violenza con violenza, resta per sempre incatenato al “Verde paradiso degli amori infantili”, avrebbe detto Baudelaire; e non c’è chi non abbia visto in questo precocissimo amore tra il protagonista e Catherine una nostalgica reminiscenza dell’Eden originario. Piccolo signore del bene è invece il David Copperfield di Dickens, che della sofferenza degli adolescenti poveri nella ricca Inghilterra imperiale di metà Ottocento se ne intendeva, per averla provata in prima persona: anche qui l’uscita dal paradiso perduto, – l’assenza della madre -, costringe alla scelta tra il bene o il male, e David decide di non accettare le scorciatoie della violenza e del crimine. La figura materna può essere ingombrante assai, come nel caso del romanzo di David H. Lawrence, “Figli e amanti”, in cui il giovane non riesce a staccarsi dalla madre pregiudicando così i suoi rapporti con l’altro sesso. E poi uno dei più affascinanti adolescenti della storia della letteratura italiana, il Rosso Malpelo della omonima novella di Giovanni Verga: un ragazzo vittima della povertà che non conosce svaghi, giochi, affetti, ma solo l’oscurità del sottosuolo, fino a restarne vittima quasi designata.
Come si vede, in letteratura come nella vita non c’è una sola giovinezza, un solo tipo di adolescente: tra i sedicenni c’è la medesima diversità di comportamenti degli adulti, al di là di ogni facile mitologia.