Nigeriano aggredito a morte a Civitanova Marche. Don Colabianchi: “Era un uomo mite”
Il sacerdote, dell’unità pastorale San Pietro-Cristo Re, conosceva Alika Ogorchukwu, nigeriano di 39 anni, sposato e padre di un bambino ucciso a morte al termine di un pestaggio avvenuto nel primo pomeriggio di ieri. “Oggi - osserva - impera il terrore di immischiarsi, ma io credo vada fatta una scelta di fondo verso la non violenza e l’attenzione ai più deboli”
“Una paura che, diventando scenografica e spettacolare, rappresenta una maggiore esaltazione dello spirito di violenza”. Con questa lucidissima constatazione, il parroco don Mario Colabianchi, dell’unità pastorale San Pietro-Cristo Re di Civitanova Marche, “fotografa” a caldo il drammatico pestaggio a morte avvenuto nel primo pomeriggio di ieri, in pieno centro, che ha visto vittima Alika Ogorchukwu, nigeriano di 39 anni, sposato e padre di un bambino. Un fatto che lascia sgomenta l’intera cittadina marchigiana, mentre in rete circola un video girato da chi, nell’indifferenza generale, “invece di intervenire, ha filmato l’orrore”. Don Mario conosceva Ogorchukwu, venditore ambulante di fazzoletti e piccoli accessori che era ricorso anche al sacerdote:
“Era un uomo mite,
veniva a bussare anche alla mia porta e a mia volta, aiutandolo, gli ricordavo che non basta portare il rosario al collo, occorre vivere coerentemente la fede cristiana.
Oggi impera il terrore di immischiarsi, ma io credo vada fatta una scelta di fondo verso la non violenza e l’attenzione ai più deboli”.
Fa poi riferimento alla giustizia, don Colabianchi, “che va invocata e che, per vincere il male, non va sottomessa alla logica della vendetta”, specie in questo tempo particolare in cui è urgente “percorrere la strada delle relazioni, attraverso la ricerca del bene, nel senso dell’accoglienza, sfatando il criterio amico/nemico, la dinamica della supremazia, per coltivare semi di fraternità e riconciliazione”. Ne è fermamente convinto il parroco di Civitanova Marche, specie in questa fase post Covid: “Per uscire dalla pandemia, che ci ha letteralmente condannati all’isolamento e alla fatica di saperci supportare, dobbiamo ricreare un tessuto di legami sani e positivi, con la piena consapevolezza che l’essere umano viene prima di tutto. Le persone, ora più che mai, si sentono abbandonate, trascurate. L’‘antidoto’ è dunque quello di rimetterci in gioco e renderci prossimi, facendoci carico dell’ascolto, dell’accompagnamento (spesso anche silenzioso), della fraternità e dell’amicizia verso l’altro”. Testimoni di una vera Chiesa “in uscita”, pertanto, che nelle Marche è presente e operosa, nonostante il dramma consumatosi lungo corso Umberto I rimanda immediatamente e tristemente alla memoria le tragiche vicende del febbraio 2018, con il delitto della giovane Pamela Mastropietro e la sparatoria di Luca Traini, nel cuore di Macerata. “La nostra – conclude don Mario – è una terra accogliente,
nelle Marche non siamo razzisti.
Il problema non è il colore della pelle, infatti: diventa razzismo ciò che sa di scarto, di insensibilità. E questo nell’animo dei marchigiani non alberga. Tuttavia, siamo chiamati, tutti, ad educarci di più al senso della comunità, per superare quell’individualismo che un po’ appartiene alla nostra indole e alla cultura contadina. L’invito, allora, è a crescere insieme nei valori della condivisione e della solidarietà allargata, promuovendo le caratteristiche genuine della nostra gente”.
Francesca Cipolloni