Migranti, l’appello: “Ora commissione d'inchiesta su naufragi e soldi alla Libia”
La società civile in piazza a Roma richiamare l’attenzione sul quello che accade nel mediterraneo centrale, diventato “un cimitero senza testimoni”. Tra le richieste: il ripristino dell’attività di salvataggio, la sospensione del Memorandum Italia-Libia e lo stop ai finanziamenti per l’esternalizzazione delle frontiere
Una commissione d’inchiesta sui naufragi nel Mediterraneo e sui finanziamenti alla Libia. E una mobilitazione costante fino al 2021 che impegni il governo italiano a ridiscutere le missioni internazionali e che porti a una risoluzione in cui venga inserita una reale alternativa alle politiche di esternalizzazione delle frontiere. E poi: un ritorno alla missione primaria di salvare le vite in mare, “una missione che l’Italia da qualche anno ha abbandonato”, l'evacuazione dei centri di detenzione libici e la sospensione del Memorandum Italia-Libia. Sono queste alcune delle richieste lanciate dalla società civile che ieri si è riunita a piazza San Silvestro a Roma per la manifestazione “I sommersi e i salvati” lanciata dall’ex senatore Luigi Manconi e sottoscritta da oltre 58 organizzazioni umanitarie.
“Sono numeri da bollettino di guerra quelli che riceviamo dal Mediterraneo. Ma sarebbe sbagliato usare questa definizione perché in mare non c’è nessuna guerra, nessun conflitto che vede opporsi due eserciti. Solo persone che troppo spesso vengono lasciate morire in mare o che altrettanto frequentemente vengono illegalmente ricondotte nei centri di detenzione libici con la piena complicità dell’Europa” sottolinea Alberto Mallardo di Sea Watch Italia, l’ong che in questo momento è l’unica a monitorare la situazione in mare attraverso i suoi elicotteri di monitoraggio, Seabird e Moon bird. “Il capo missione delle nostre operazioni di volo, Neeske Beckman, nei giorni scorsi ci raccontava che ormai se trovano un oggetto galleggiante non identificato cercano subito di capire se ha degli arti e solo in caso negativo vanno oltre - aggiunge Mallardo -. Evidentemente non è normale, abituarsi a vedere corpi nel tratto di mare più frequentato e militarizzato al mondo, non dovrebbe essere normale. E invece nell’ultimo mese sono stati già tre gli avvistamenti di corpi senza vita nel Mediterraneo segnalati dagli aerei di Sea-Watch”. Il tratto di mare che separa l’Italia dalla sponda opposta è diventato “un cimitero dove però oltre ai corpi abbandonati in mare continuiamo ad essere testimoni dell’inutile sofferenza imposta ai vivi - aggiunge - tutto questo è tanto più atroce tanta è la consapevolezza che sarebbe possibile evitarlo. Se solo ci fosse la volontà politica il nostro lavoro in mare non sarebbe più necessario. Se solo venisse riconosciuta a tutti la possibilità di muoversi regolarmente, ottenendo permessi d’ingresso per lavoro o aprendo canali legali e sicuri d’ingresso per chi ha diritto di asilo non saremmo costretti ad assistere in continuazione a simili tragedie”.
E a parlare delle sofferenze “visibili e invisibili” di chi, passando per la Libia, le torture e gli abusi riesce ad arrivare in Italia è Ahmad Al Rousan di Medici senza frontiere. “La nostra organizzazione assiste persone in Libia e in Italia, io stesso ho lavorato sia nel salvataggio in mare che nei centri per la riabilitazione di vittime di tortura - sottolinea -. Queste persone mi hanno raccontato quello che hanno subito, piuttosto che morire in Libia provano la via del mare. Non hanno alternative, e oggi non hanno voce: per loro dobbiamo provare noi ad alzare la nostra voce”. E la voce di H.R, originario del Marocco è stata portata in piazza da Paolo Pezzati di Oxfam Italia: “Ho rischiato di morire per le botte che ho subito, cercando di resistere ai trafficanti che volevano stuprarmi. Ho visto tutti i tipi di violenza sessuale” ha spiegato il ragazzo agli operatori di Oxfam che operano in Sicilia. “L’84 per cento delle persone intervistate ha dichiarato di aver subito maltrattamenti - spiega Pezzati -. Il 74% dichiara di aver assistito all’omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio, l’80 per cento di aver subito la privazione dell’acqua, il 70% di essere stato imprigionato in luoghi di detenzione non ufficiali. La questione non riguarda solo i soldi alla guardia costiera libica, ma l’approccio sballato alle politiche migratorie”.
Tra missioni navali nel Mediterraneo e missioni in Libia, dal 2017 sono stati spesi 784 milioni di euro. “Difficile, anzi difficilissimo sapere come sono stati spesi questi soldi - conclude Pezzati -. Per questo da anni chiediamo una commissione d’inchiesta per indagare sulle morti in mare e su come sono utilizzati questi fondi”. Per Oxfam la mobilitazione deve essere un “primo passo verso una mobilitazione organizzata e costante in vista delle missioni 2021” in cui venga inserita un’alternativa alla strategia dell’esternalizzazione. “Cosa altro dobbiamo sapere sulla Libia, cosa altro deve succedere in Libia per non rinnovare più quella missione? -aggiunge Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.
“Oggi c’è una chiara scelta politica che distingue i sommersi e i salvati - spiega Fulvia Conte di Mediterranea - In zona Sar maltese l’attesa è infinita, in zona sar libica i respingimenti sono continui. E noi che siamo scoodi testimoni veniamo fermati e osteggiati”. Alla manifestazione hanno preso parte diversi parlamentari come Matteo Orfini, Benedetto Dalla Veova, Riccardo Magi, Erasmo Palazzotto ed Emma Bonino