Migranti, 20 anni di Bossi-Fini. “Frutto avvelenato dell’era Berlusconi, i danni li vediamo tutti i giorni”
Per Stefano Trovato del Cnca gli obiettivi della legge sono chiari: ridurre o rendere difficili le possibilità di ingresso regolare di stranieri per lavoro. E così si precarizzano ancora di più le condizioni di vita
La legge n.189 del 30 luglio 2002, cosiddetta Bossi-Fini, compie 20 anni. Redattore Sociale ha chiesto ad alcuni esperti, impegnati sul terreno dei diritti e dell’accoglienza, di analizzare le luci e le ombre della normativa che regola l'immigrazione in Italia.
La legge 189 del 2002 denominata “Bossi-Fini” è uno dei frutti “avvelenati” dell’era Berlusconi. A descrizione di un clima politico che si è vissuto in quegli anni, andrebbe citata anche la legge sulle droghe “Fini-Giovanardi”, nefasta per i suoi effetti sociali e culturali. Sono gli anni dello slogan “tolleranza zero”: quindi, lotta alla droga e ai suoi consumatori e lotta all’immigrazione e a qualsiasi politica di accoglienza. La Bossi-Fini, sopravvissuta anche ai governi di centrosinistra, nasce in risposta alla precedente Turco-Napolitano (L.40 del 1998) e ad una stagione nella quale si intensificano gli sbarchi sulle nostre coste di migranti provenienti in particolare dall’Albania.
Gli obiettivi della legge sono chiari: ridurre o rendere difficili le possibilità di ingresso regolare di stranieri per lavoro (il migrante dovrebbe trovare un lavoro in Italia dal suo paese di origine) e collegare strettamente la durata e la validità del permesso di soggiorno per lavoro subordinato all’esistenza effettiva di un regolare rapporto di lavoro. Permangono e si aggravano una serie di norme che aumentano la discrezionalità del Governo circa la programmazione dei nuovi ingressi per lavoro,che diventa addirittura facoltativa. Si introduce nuovamente la verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori italiani o comunitari per autorizzare l’ingresso di nuovi lavoratori stranieri. La legge, inoltre, precarizza ancor di più la condizione dello straniero regolarmente soggiornante per lavoro anche attraverso l’istituzione del “contratto di soggiorno” che sposta dalle istituzioni pubbliche ai datori di lavoro gli oneri riguardanti per esempio le esigenze alloggiative dei lavoratori stranieri.
Accanto alle norme che riducono drasticamente la possibilità di ingresso per lavoro regolare, vengono promosse una serie di norme di tipo penale e amministrativo che aumentano in modo consistente la repressione delle persone migranti irregolari. Esempi ne sono l’espulsione dello straniero “clandestino” quale misura alternativa alla pena detentiva (entro il limite di due anni) e l'aumento del periodo di massima permanenza all’interno dei Centri di permanenza temporanea (istituiti dalla Turco Napolitano già nel ‘98) passando da 30 a 60 giorni. Inoltre, viene introdotta l’esecuzione immediata con accompagnamento alla frontiera per provvedimenti amministrativi di espulsione senza un effettivo accesso della persona migrante al diritto di difesa. Queste sono solo alcune delle norme che nei fatti delineano un quadro normativo che intende far “tabula rasa” del dibattito che nel nostro paese, anche grazie al percorso legislativo sulla Turco-Napolitano, aveva provato a costruire un quadro legislativo e culturale capace di governare l’immigrazione in modo più dinamico, sostenendo anche processi che definissero una “via italiana” all’interculturalità, che vedeva le persone straniere e le loro comunità protagoniste anche nei territori.
È bene ricordare che nella legge del centrosinistra del ‘98 le aspettative di un approccio più “aperto” in molta parte rimasero al palo, a causa delle tante mediazioni politiche, creando una frustrazione nel rapporto con la politica in chi si era fortemente attivato in una mobilitazione sui diritti di cittadinanza e sull’accesso al diritto di voto. È evidente che l’inizio degli anni Duemila diventa uno spartiacque culturale, politico e legislativo sul tema immigrazione.Però quegli anni sono anche quelli della nascita di esperienze positive nelle comunità locali, animate anche dal protagonismo del terzo settore in materia di accoglienza di persone migranti.
Gli anni Duemila: l’egemonia culturale della destra e il protagonismo della società civile
Nel 2000 nasce il Piano Nazionale Asilo (PNA) tra ministero dell’interno, ANCI e UNHCR. Il Piano ha tre obiettivi: la costruzione di una rete diffusa di servizi di accoglienza per richiedenti asilo, la promozione di misure per l'integrazione di rifugiati riconosciuti o umanitari e la predisposizione di percorsi di rimpatrio. A questa iniziativa nel 2002 si affianca la nascita dello SPRAR (Sistema accoglienza richiedenti asilo e rifugiati), oggi SAI, gestito da un’agenzia ANCI all’interno del ministero degli Interni. Esso nasce dall’idea di portare a valore le tante collaborazioni tra i Comuni e il terzo settore di vario orientamento, che hanno prodotto nei territori esperienze virtuose di accoglienza di persone migranti. Un sistema che ad oggi, tra luci ed ombre, ancora permane ed è presente in migliaia di comuni italiani.
Vanno anche ricordate in positivo le varie leggi regionali approvate tra la fine degli anni Novantae i primi anni del 2000,che a volte hanno fornito dei riferimenti normativi per il mantenimento di una rete solidale e un quadro di diritti migliorativo rispetto a quello nazionale.
Gli anni Duemila non ci consegnano, quindi, un quadro a una sola tinta. Da una parte c’è la politica segnata dall’egemonia culturale della destra e dall’altra un protagonismo della società civile e dei tanti territori accoglienti che resistono e pongono il tema di una società più inclusiva e aperta alle persone migranti. I danni fatti dalla Bossi-Fini li stiamo vivendo tutti i giorni. L’onda lunga di quella legislazione, frutto di una cultura che vede l’immigrazione principalmente come un tema di sicurezza, ha egemonizzato il dibattito politico producendo atti legislativi (Minniti e Salvini) che hanno colpito il diritto d’asilo (oggi unico strumento regolare di accesso nel nostro paese,oltre il decreto flussi), alimentando anche una campagna di criminalizzazione della società civile già emersa ai tempi della promulgazione delle Bossi-Fini. Tantissime sono le organizzazioni laiche e di ispirazione religiosa che da tempo denunciano che il reale prodotto di questa famigerata legge è l’irregolarità e la diminuzione dei diritti delle persone. Ne sono riprova non solo i tanti ricorsi su singoli aspetti promossi da organizzazioni che difendono i diritti delle persone migranti, ma anche il consueto ricorso a parziali e inefficaci “sanatorie” fatte dai vari governi proprio con l’obiettivo di ridurre l’irregolarità generata dal sistema stesso.
Non basta superare la Bossi-Fini, serve una riforma strutturale
È importante sottolineare che nonostante il difficile quadro che permane oggi a livello nazionale, solo parzialmente attenuato dalla legge Lamorgese del 2020, la società civile di cui il Cnca fa parte è riuscita a costruire innumerevoli proposte di modifica del quadro legislativo sia in materia di immigrazione, di diritto di asilo che di cittadinanza.
La campagna Ero Straniero,una coalizione di varie organizzazioni sociali e politiche, ha depositato da tempo una proposta di legge sui canali di ingresso per motivi di lavori, la "sponsorship" e la regolarizzazione per persone straniere “radicate”, strumenti già presenti in legislazioni di altri paesi.La stessa campagna #io accolgo, in rappresentanza di un’amplissima alleanza sociale, ha promosso, unitamente al Tavolo Asilo Immigrazione, mobilitazioni e proposte specifiche di miglioramento del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e sui terribili accordi del governo italiano con la Libia. A queste iniziative aggiungerei le mobilitazioni, tra cuiL’Italia sono anch’io, nate in questi anni intorno al tema della cittadinanza, oggi di nuovo al centro del dibattito parlamentare, che vedono protagonisti tantissimi giovani.
Tutto ciò è il segno che in questo paese il tema dell’immigrazione e l’affermarsi di una società interculturale è ancora aperto. Sappiamo che non basta superare la legge Bossi-Fini. Dal punto di vista legislativo dovremmo aggiornare anche il Testo unico sull’immigrazione.
Abbiamo bisogno che il legislatore comprenda finalmente che il tema delle migrazioni non è principalmente un tema di sicurezza e controllo, ma un tema sociale, di sviluppo del paese. Per questo come CNCA proponiamo il passaggio di competenze in materia di immigrazione dal ministero degli Interni al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, attivando nella programmazione e nella gestione dell’immigrazione le Regioni, i Comuni e tutto quelle organizzazioni sociali che in questi anni hanno promosso o accompagnato pratiche inclusive.
di *Stefano Trovato
* Stefano Trovato è il coordinatore dell' area migrazioni del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca)