Lo stile anime contagia il Giubileo con Luce

C’è chi l’ha definita «la prima mascotte di un Giubileo». Ma non è vero. Su e-Bay, infatti, è ancora possibile acquistare a 59 euro e 90 centesimi “Giuby” e “Leo”, le mascotte del Giubileo. Quello del 2000 però. Vendute da Giochi Preziosi ma realizzate «dall’estro e dalla creatività di Maria Perego e Cino Tortorella» le mascotte apparvero in qualche programma Rai mattutino e nei negozi, ma il loro impatto è stato minimo. Giuby, l’angioletto femmina, si definisce «carina, buona… anzi, buonissima. E ho le ali». «Diventerò il tuo angelo custode», promette. Leo, il maschietto, una strana fusione di Topo Gigio e Bart Simpson, ammette di non avere «ancora le ali perché ogni tanto faccio il birichino». A parte l’errore da matita blu in teologia dogmatica sulla natura degli angeli, le mascotte del 2000 parlavano esclusivamente ai bambini – italiani – con un catechismo (all’epoca si chiamava così) di prima elementare. Luce, invece, in pochi giorni ha raggiunto una platea ben più vasta, con canoni estetici che accomunano generazioni diverse, diversi continenti e persino diversi background religiosi. Il fango ai piedi, il bastone del cammino, l’impermeabile per andare avanti anche nella tempesta, il rosario missionario al collo, il sorriso di chi abbraccia la bellezza della vita e le conchiglie di Santiago negli occhi, simbolo di una meta che già riempie la vista ancor prima di raggiungerla. Una visione della fede e della religiosità, se mi permettete, un po’ più ricca e appagante – e direi più cattolica – dell’angioletto che non ha ancora le ali perché “birichino”. Non sottovalutiamo la potenza di un’immagine e lo stupore di un mondo che si accorge di noi quando troviamo il linguaggio giusto.

Andrea Canton
Giornalista, fa parte di Weca-Webcattolici Italiani