Legge di Bilancio. Rossini: “Non dobbiamo metterci contro i poveri, ma contro la povertà”
La prima legge di Bilancio del governo Meloni avrebbe voluto cambiare le regole per i percettori di reddito di cittadinanza rendendo accettabile qualsiasi impiego, pur al di sotto delle proprie capacità, ma ha fallito nell’intento. Il riferimento al decreto legislativo che ha introdotto il reddito di cittadinanza e a quello del Jobs act che fa riferimento alla congruità è infatti rimasto e quindi la norma resta come prima. I dubbi però rimangono secondo Roberto Rossini, portavoce della Alleanza contro la povertà
L’offerta resta “congrua”. Ma per un errore, non per volontà politica. La prima legge di Bilancio del governo Meloni avrebbe voluto cambiare le regole per i percettori di reddito di cittadinanza rendendo accettabile qualsiasi impiego, pur al di sotto delle proprie capacità, ma ha fallito nell’intento. Il riferimento al decreto legislativo che ha introdotto il reddito di cittadinanza e a quello del Jobs act che fa riferimento alla congruità è infatti rimasto e quindi la norma resta come prima. I dubbi però rimangono secondo Roberto Rossini, portavoce della Alleanza contro la povertà, composta da 36 organizzazioni, dalle Acli alle Confcooperative passando per Save the children. La rete è apartitica e contiene anime dalle ispirazioni molto diverse che si sono date lo scopo di far entrare nell’ordinamento giuridico italiano una norma di contrasto alla povertà assoluta.
Alla fine la manovra non cambia il reddito di cittadinanza per un errore tecnico della maggioranza. Tuttavia il governo vuole intervenire con un decreto a gennaio. Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, afferma infatti che un laureato può fare anche il cameriere.
Il punto è un altro.
Oltre il 70% di chi percepisce il reddito di cittadinanza non è laureato. Il beneficiario, nei due terzi dei casi, ha la terza media e spesso non riceve nemmeno le proposte di impiego perché negli ultimi tre anni non ha lavorato.
Sono persone che fanno fatica a trovare un lavoro sia congruo sia non congruo. Aggiungiamo il fatto che stiamo parlando di persone con fragilità sociale e vulnerabilità che saranno costrette a spostarsi per accettare un posto di lavoro anche a tempo determinato o part time o in somministrazione, e che le spese di viaggio hanno un impatto pesante su redditi così bassi.
È vero però che sono stati soprattutto i centri per l’impiego a non supportare il reddito di cittadinanza?
Sì, ma non solo. Va ricordato che in Italia in media una persona impiega per trovare lavoro dai 15 ai 16 mesi. Ora invece, si dirà che deve impiegarci solo sette mesi.
Predomina lo stereotipo del “furbetto”. Fra i poveri ce n’è sicuramente qualcuno ma non si può confezionare una legge sull’eccezione.
Si deve confezionare la legge pensando alla maggioranza, cioè alle persone in povertà. Il tema è se vogliamo integrarle o no. Se vogliamo, dobbiamo allora dare la possibilità di accompagnarle al lavoro perché non hanno titoli di studio forti.
Chi è il povero in Italia oggi?
Sulla base dei dati, il povero abita al Sud dove il lavoro è più scarso, ha più di 50 anni, un titolo di studio basso e proviene da situazioni sociali complesse.
È stato fatto un paragone con la manovra spagnola, dove pare si sia adottata la regola di Robin Hood: togliere ai ricchi per dare ai poveri.
Il problema della manovra italiana così significativa è che va a colpire in particolare i poveri e le situazioni di fragilità.
In questo Paese non dobbiamo metterci contro i poveri ma contro la povertà.
Max Weber diceva che “la politica è un lento e tenace superamento delle difficoltà”. Se capisco che il nemico è la povertà, con la lentezza e la tenacia cerco di abbatterlo il più possibile. Qui invece rischiamo che a luglio le persone se non troveranno lavoro saranno per la strada.
Come si può intervenire?
La domanda è proprio questa. Presumo che interverranno gli attori del terzo settore. La strada però non può essere questa. Attraverso il reddito di inclusione avevamo identificato un percorso, in parte ripreso dal reddito di cittadinanza, dove accanto al beneficio economico c’era l’attenzione ai progetti personalizzati che si fondano sulla forza del welfare territoriale. O noi rafforziamo queste dinamiche inclusive o diventa davvero difficile.
Quest’anno la linea che distingue chi è in povertà relativa e chi in povertà assoluta si sposterà.
Come rete, abbiamo calcolato che mediamente ogni famiglia spenderà almeno 1500 euro di più per bollette e cibo.
Tagliando i redditi di cittadinanza, le persone si accontenteranno dei compensi bassi. Magari nel settore della ristorazione?
Sì, ammesso che vogliano assumere persone con più di 50 anni, magari fragili, che vivono una parte faticosa della vita. Penso che il lavoro povero non vada incentivato, ma ridotto.
In questo modo si vivacchia e si incentiva una economia povera?
Abbiamo sempre detto che queste misure andavano accompagnate da forme di politiche attive per verificare le capacità. Il vantaggio del reddito di cittadinanza era la stabilità.
Siete stati fra i promotori del reddito di inclusione introdotto nel 2018, poi sostituito con quello di cittadinanza. Che differenze ci sono fra i due strumenti?
Il reddito di inclusione è pensato in maniera esplicito per la povertà, per garantire una serie di servizi e prendere in carico tutto il nucleo familiare. Si basa su una analisi preliminare del nucleo nel complesso e sulle vere capacità delle persone.
Il vantaggio del reddito di cittadinanza è l’importo, superiore a quello di inclusione. In quello di inclusione c’è un ruolo forte del terzo settore che è chiamato a costruire un progetto personalizzato.
Ha una scala di equivalenza migliorativa e include anche gli stranieri da due anni in Italia, a differenza di quello di cittadinanza che pretende una permanenza da almeno dieci.
Elisabetta Gramolini