Le imprese sociali reagiscono alla crisi: le (tre) strategie resilienti
Rapporto Iris network: 22 mila realtà e quasi 650 mila occupati; crescono imprese (+10,2%) e addetti (+19%), di più le cooperative sociali. Rafforzare i servizi, riprogrammare le attività e ampliare l’offerta: ecco le strategie messe in campo in pandemia per "continuare ad essere punti di riferimento per utenti e comunità"
Come hanno reagito alla crisi determinata dalla pandemia da coronavirus le oltre 22 mila imprese sociali che occupano quasi 650 mila dipendenti? E' la domanda che si sono posti gli osservato del IV edizione del Rapporto sull’impresa sociale di Iris Network – L’impresa sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza – che ha elaborato i dati Istat del Censimento permanente delle Istituzioni non profit del 2020 (anno di riferimento 2018). Questa edizione indaga le dimensioni e le caratteristiche del settore, quale contributo le imprese sociali abbiano dato alla crescita economica e occupazionale e al benessere dei destinatari dei servizi e alle politiche sociali ma estende la ricerca alla reazione del settore alla pandemia da Covid-19 con una ricerca originale, “tesa a verificare le strategie di resilienza e le loro determinanti”.
Il 57,5% delle realtà sono cooperative sociali e a seguire associazioni e, rispetto al Censimento del 2011, si registra un aumento del 10,2% di imprese e del 19% come addetti. Più del 40% occupa più di 10 addetti. Il 46,3% hanno un fatturato inferiore ai 200 mila euro, anche se il 10,8% supera i 2 milioni di euro. Quasi la metà opera al Nord, dove il 37,2% delle imprese ha un fatturato superiore ai 500 mila euro, mentre al Sud il 55,2% ha un fatturato che non supera i 200 mila euro. Il 31% delle imprese sociali opera nei servizi sociali, il 19% nell’inserimento lavorativo, ma significativa anche la componente attiva nel settore istruzione e ricerca (18,3%) e cultura e sport (18,2%) e sanità (8%).
“Quando, con il distanziamento sociale e il lockdown si è capita la gravità della situazione per il settore dei servizi sociali, sono stati in molti a chiedersi che fine avrebbero fatto le oltre 22 mila imprese sociali e i loro 650 mila occupati. E con esse una parte significativa dell’offerta di servizi alle persone più fragili – ha spiegato Carlo Borzaga, presidente di Euricse e curatore del volume assieme a Marco Musella, presidente di Iris Network - Una preoccupazione accentuata da una rappresentazione di queste imprese come prive di autonomia e risorse, nonché dipendenti finanziariamente e organizzativamente dalle pubbliche amministrazioni. E questa è stata una delle domande centrali alle quali il Rapporto ha cercato di dare risposta, a partire da 120 casi di resilienza e da oltre 50 interviste a responsabili nazionali e regionali".
Da questa indagine è emerso che "sono state molte le imprese sociali che hanno mostrato un comportamento resiliente". "Chiamate in prima linea, - sottolineano gli osservatori - hanno saputo trasformarsi, talvolta in maniera radicale, per portare avanti le attività e continuare ad essere punti di riferimento per i propri utenti e le comunità". Tre le strategie di resilienza messe in atto e individuate dal rapporto: il mantenimento e il rafforzamento dei propri servizi, sostenendo spesso direttamente l’aumento dei costi; la riprogrammazione delle attività, che spesso si è tradotta nel passaggio al digitale dei servizi prima previsti in presenza; l’ampliamento dell’offerta per far fronte alle aumentate fragilità che la pandemia ha portato con sé.