La pastorale del sorriso. A cinquant’anni dalla morte, Tencarola ricorda don Angelo Bertolin
A cinquant’anni dalla morte, Tencarola ricorda don Angelo Bertolin, il parroco che costruì la chiesa, rimasto nella memoria per la sua profonda carica umana
A cedere, cinquant’anni fa, è stato il suo cuore, non il suo spirito. Quel cuore che dieci anni prima – in un’auto intervista “concessa” al suo alter ego Giacometo definiva “de leon” – quel cuore che lo faceva «rampegare per le montagne cofà na cavara e saltare cofà un cavareto» aveva dato qualche segno di stanchezza già l’anno prima, per cedere poi di schianto alla fine di un giorno faticoso, ma fruttuoso. Faticosa, ma fruttuosa è stata la vita di don Angelo Bertolin che i suoi “ragazzi” di Tencarola ricordano ancora con affetto e tenerezza e che vogliono riproporre alle nuove generazioni. Perché magari le circostanze sociali e culturali sono profondamente cambiate rispetto a mezzo secolo fa, trascinate da una continua tempesta di trasformazioni che rende obsoleto il passato prossimo, figurarsi quello appena un po’ più lontano. D’altra parte lo stesso don Angelo aveva assaporato l’amarezza di sentirsi superato, nelle categorie di pensiero e nello stile di scrittura. Ma se tutto cambia attorno, resta almeno il ricordo dell’affetto autentico, dell’umiltà sorridente e autoironica di una persona che sa donare e donarsi con generosità e schiettezza, interpretando senza reticenze le passioni, e i limiti del suo tempo.
Don Angelo Bertolin è nato civilmente in comune di Pianiga, ma ecclesialmente in parrocchia di Caltana il 15 settembre 1912. Entrato in seminario a dieci anni, è diventato prete il 7 luglio 1935, ordinato dal vescovo Carlo Agostini. Già in seminario aveva dato prova del suo carattere «esplosivo ed effervescente» e della sua propensione alla scrittura. Nominato vicario a San Benedetto, accanto al parroco don Lino Pertile, per cinque anni aveva seguito soprattutto la pastorale giovanile come direttore del patronato, fondatore di un doposcuola, factotum della rinata filodrammatica Laetitia, brioso scrittore dialettale nel bollettino parrocchiale, in cui dava voce al disappunto morale di un ottuagenario, Bortoleto, di fronte alla corruzione dei costumi.
Il 5 luglio 1940 venne nominato vicario economo di Tencarola, dopo la morte del parroco don Antonio Dal Zotto, e quindi parroco l’8 dicembre dello stesso anno. Nonostante la guerra, si diede subito da fare per rinnovare le associazioni cattoliche, fondare la filodrammatica (che oggi porta il suo nome), restaurare la chiesa che, negli anni Cinquanta, sostituirà con il nuovo, grande tempio attuale, benedetto il 10 luglio 1960 e costato tanti sacrifici e preoccupazioni. La popolazione di Tencarola d’altra parte stava aumentando a dismisura, per l’apporto di famiglie provenienti dalla campagna come dalla città e ciò stava rivoluzionando radicalmente non solo il paesaggio, ma anche i pensieri della gente nei confronti della vita e della fede.
Negli anni Quaranta don Bertolin aveva anche iniziato il suo “apostolato della penna” affiancandosi al direttore della Difesa, don Francesco Canella, suo coetaneo, di cui divenne grande amico. Come parroco e come scrittore don Angelo affrontò gli effetti di tante rivoluzioni con una “catechesi delle piccole cose”, fatta di semplicità, chiarezza e soprattutto di partecipazione umana e pastorale alle gioie e alle sofferenze delle persone, di profonda empatia. Al punto che capitava non riuscisse quasi a parlare per la commozione alle omelie dei funerali. Ma il suo stile prevalente era quello del sorriso, magari un po’ ironico se doveva correggere, però sempre profondamente sereno, senza cattiveria. Questo non gli impediva di dire il suo pensiero senza peli sulla lingua, senza mai rompere i rapporti con nessuno. Andava a benedire le case in bicicletta e faceva catechismo ai giovani passeggiando sull’argine del Bacchiglione e spiegando le Sacre Scritture, di cui era un profondo conoscitore, con chiarezza ed efficacia. Nella lapide tratta dal suo testamento spirituale è scritto: «Amiamoci anche oltre la frontiera del tempo».
In ricordo
La parrocchia di Tencarola ha ricordato, sobriamente come lo esigono i tempi, il 50° anniversario della morte di don Angelo Bertolin, che spirava all’improvviso nella sera del 18 aprile 1971. Il foglietto parrocchiale riporta la parte saliente di un articolo-testimonianza su quell’ultima sera scritto dal parrocchiano Giuseppe Rebonato. Una pagellina ripropone oltre alla sua ultima fotografia parte del testamento spirituale scritto qualche mese prima e alcune massime trovate tra le pagine del suo breviario. In occasione del cinquantenario la parrocchia si propone di pubblicare una tesi di laurea su don Bertolin, alias Giacometo, scritta nel 1991 da Rossella Scomparin (relatrice Sandra Secchi) e per molti versi ancora attuale.
Don Angelo Bertolin, la penna dietro "Giacometo". “Storielle vere” d’alto gradimento
La carriera di scrittore di don Angelo Bertolin si compì quasi completamente sulle colonne del settimanale diocesano. Entrò nella redazione della Difesa del popolo dopo che, nel 1940, ne divenne direttore il compagno d’ordinazione don Francesco Canella, l’inseparabile “don Checo”. E ne uscì nel luglio del 1967 quando prese atto di non essere disposto ad adeguarsi alla sensibilità del nuovo direttore, don Alfredo Contran (da lui soprannominato Donald Fred) e dei nuovi tempi, più diplomatici e meno irruenti, sia nella polemica politica sia nella critica di costume. Viene citata come emblematica la correzione del nome dell’osteria in cui immaginava si riunissero i mangiapreti: da “Al cavaron d’arzento” a “Al cavain d’arzento”, che lo svuotava d’ogni contenuto polemico.
Sia che scrivesse in italiano, come don Angelo, sia che si firmasse con il glorioso pseudonimo di Giacometo, per intingere la sua penna in un vernacolo veneto espressivo, poco filologico ma molto creativo, anche nella contaminazione con i linguaggi ufficiali, plagiati e storpiati con gusto, la vena ironica e umoristica di don Bertolin era sempre d’effetto. I suoi bersagli preferiti erano i comunisti, le indecenze della moda femminile (e anche di quella maschile), la frivolezza e la stupidità qualunquista. Il suo “quasi romanzo”, El brivido dela castagnara granda, uscito prima a puntate sulla Difesa e poi postumo in volume, riassume i suoi temi più cari e racconta per caratteri e immagini il travaglio di una generazione che vede crollare i suoi riferimenti (la secolare pianta di castagno) ma ha anche il coraggio di piantare alberi nuovi.
Dopo un primo assaggio satirico nel 1946 in cui si firmò come Beta Sucati maestra, nel febbraio del 1948 nacque Giacometo, cantore di storie “autentiche” che prosperò per un ventennio raccogliendo un grande numero di affezionati lettori. Tra cui brilla il nome del cardinale Angelo Roncalli, patriarca di Venezia e poi papa, ora san Giovanni XXIII.
Le 14 massime nel breviario
In un manoscritto usato come segnalibro nel breviario, don Angelo aveva annotato queste 14 massime:
- La pace del cuore è il Paradiso degli uomini.
- La vera ricchezza della vita è l’amore: la vera povertà l’egoismo.
- Con l’affetto, la bontà, il sorriso si può seminare tanta luce.
- Amare è trovare nella felicità altrui la propria felicità.
- Chi sa soffrire può osare tutto.
- Chi ha carità nel cuore ha sempre qualcosa da donare.
- Fa silenzio intorno a te se vuoi sentire cantare l’anima tua e parlare Iddio.
- Vi sono benedizioni di Dio che entrano rompendo i vetri.
- La più grande piaga è la tristezza del cuore.
- Sii come il cielo che dà sempre senza nulla pretendere.
- Tutto arriva per chi sa attendere.
- Non è perfettamente buono chi sa essere buono con chi è cattivo.
- Niente è più forte al mondo della dolcezza.
- Ogni bambino che arriva al mondo ci reca il messaggio che Iddio non si è dimenticato di noi.