La parte mancante. I “poeti sociali” di Francesco al Festival di Verona
Sono uomini e donne che camminano nella storia, hanno sogni ma non sono sognatori, non considerano la crisi un irrimediabile fallimento ma un’occasione per un’altra partenza
“Così mi piace chiamarvi, “poeti sociali”. Perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza. Con le vostre mani sapete forgiare la dignità di ciascuno, quella delle famiglie e quella dell’intera società con la terra, la casa e il lavoro, la cura e la comunità”.
Era il 16 ottobre 2021 e queste parole aprivano il videomessaggio di papa Francesco al quarto incontro mondiale on line dei movimenti popolari. A distanza di tre anni si è tenuto nei giorni scorsi a Verona il “Festival Poeti Sociali itinerari di pace” che ha declinato le parole del Papa negli interventi e nei linguaggi di diversi protagonisti della vita sociale e culturale.
Richiamarsi alla poesia in tempi complessi e dolorosi come sono gli attuali e come peraltro erano anche quelli della pandemia sembra più un esercizio di chi ha la testa tra le nuvole che un’espressione di speranza e di fiducia nel futuro. Forse è un esercizio di chi ha la testa non dentro ma oltre le nuvole.
È Francesco a dare la risposta nel rivolgersi a quanti, spesso ignorati e più numerosi di quanto si pensi, operano per il bene comune, per la solidarietà e per la pace: “Vedervi mi ricorda che non siamo condannati a ripetere né a costruire un futuro basato sull’esclusione e la disuguaglianza, sullo scarto o sull’indifferenza; dove la cultura del privilegio sia un potere invisibile e insopprimibile e lo sfruttamento e l’abuso siano come un metodo abituale di sopravvivenza. No! Questo voi lo sapete annunciare molto bene”.
La poesia, una forma alta di comunicazione ritenuta spesso astratta e fuori dalla realtà viene dunque “messa a terra”, viene portata sulla strada che attraversa tragedie, crisi e su questa stessa strada lascia intravvedere impensabili orizzonti di riconciliazione e di fraternità.
La poesia ha “qualcosa” in comune con la profezia, con la capacità di vedere e additare una luce nel buio e di rendere visibile un sentiero di pace nelle terre sconvolte dalla guerra e in quelle inquinate dall’indifferenza.
Fantasie, illusioni, ingenuità? I “poeti sociali” esistono, sono uomini e donne che camminano nella storia, hanno sogni ma non sono sognatori, non considerano la crisi un irrimediabile fallimento ma un’occasione per un’altra partenza. Nel rumore delle armi non fanno notizia, la comunicazione mediatica, salvo rari casi, non li considera. Eppure esistono e operano.
“Il loro coraggio di creare ottimismo laddove appaiono solo scarto, tensioni e sofferenze” come scrive Francesco e come ripreso al Festival di Verona, cozza contro il realismo di chi vede solo deserti, vicoli a fondo cieco, nubi impenetrabili e minacciose.
C’è della verità in questo realismo ma c’è una parte mancante che i “poeti sociali” conoscono, vivono e raccontano. Questa parte mancante è fatta di segni, di volti, di opere che crescono e si diffondono, fanno cultura, mentre la dotta ignoranza, dei salotti televisivi e non, si autocompiace nel definirli inefficaci e ingenui.