La lunga marcia degli italiani oltre confine. Una riflessione a partire dal fenomeno degli Expat
L’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) ne conta oltre 5 milioni e 650mila. Sono i nuovi migranti che oggi chiamiamo Expat.
“Spatriati” è il romanzo con il quale lo scrittore Mario Desiati si è aggiudicato quest’anno il premio Strega. Nella bella narrazione si racconta la storia di due ragazzi Claudia e Francesco che decidono – prima l’una e poi l’altro – di lasciare l’Italia, che sentono stretta, per vivere all’estero – a Berlino per la precisione. Non è un romanzo ambientato nell’Italia del dopo guerra, il contesto è quello attuale e come tutte le storie affascinanti partono da un fondo di realtà.
In effetti sono molte le persone – soprattutto giovani – che intraprendono la strada migratoria nel nostro paese. C’è un flusso migratorio che avviene sottotraccia e raccoglie poca attenzione dai media: crescono sempre di più gli italiani che lasciano il nostro paese. L’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) ne conta oltre 5 milioni e 650mila. Sono i nuovi migranti che oggi chiamiamo Expat. In questi anni assistiamo a un continuo esodo: rispetto al 2006 registriamo un aumento dell’82%. Quasi il 10% della corrispettiva popolazione italiana si è trasferita oltre confine. Per comprendere l’entità del fenomeno bisognerebbe tener presente che questi dati sono sottostimati, perché molti residenti specialmente in Europa non si registrano, come avviene anche nel romanzo una dei protagonisti è in regola, l’altro no.
Come si evidenzia in “La spirale del sottosviluppo Perché l’Italia non ha futuro”, un volume del sociologo Stefano Allievi, la decisione di partire degli italiani e simile a quella di tutti gli altri – anche dei cittadini di altri paesi che arrivano in Italia – è dovuta da un lato alla mancanza di prospettive nel proprio paese e dall’altro lato dal contesto di accoglienza più inclusivo percepito nel paese di arrivo: gli italiani vedono maggiore parità di genere e più multiculturalità. Si possono anche delineare i profili delle persone che abbandonano l’Italia: ci sono i “ricercati” generalmente giovani professionisti con alte competenze a cui vengono offerti ottimi lavori; poi ci sono gli “avventurieri”, che non riuscendo a trovare una stabilità in Italia tentano fuori, e i “nuovi italiani”, persone che arrivate in Italia e ottenuta la cittadinanza italiana sfruttano la possibilità della mobilità. Tra questi due gruppi generalmente si trovano anche gli insuccessi e le esperienze più drammatiche dell’emigrazione. Infine ci sono gli “anziani in pensione” coloro i quali una volta terminata la vita lavorativa decidono di trasferirsi in un altro paese dove il costo della vita è inferiore e generalmente si pagano meno tasse.
Per l’Italia questi tipi di migrazione sono tutti in perdita: sotto la prospettiva economica perché le famiglie generalmente sostengono i giovani che sono andati all’estero e perché gli anziani generalmente non hanno interesse a rispedire soldi in Italia; sotto la prospettiva umana e culturale perché il paese ha investito nel percorso di istruzione e di socializzazione sui giovani che se ne vanno.
Per equilibrare i flussi Stefano Allievi propone di agire su tre linee politiche: un welfare più bilanciato per favorire i giovani; politiche lavorative attente all’aumento dei salari di ingresso; politiche migratorie che contrastino lo sfruttamento, perché non si può impedire ai giovani italiani di andarsene, ma si può accogliere meglio i giovani del mondo che arrivano.