La guerra è entrata nelle nostre case, ma per primi viviamo la pace del Risorto

La guerra è entrata nelle nostre case. A ogni ora del giorno e della notte vediamo immagini di morte e distruzione, tanto da rischiare di cadere in una sorta di assuefazione nell’assistervi, non lasciandoci più sconvolgere da nulla. Indigniamoci contro un mondo che per sconfiggere la guerra si arma in modo sempre più forte, rinunciando ad azioni di pace e di riconciliazione

La guerra è entrata nelle nostre case, ma per primi viviamo la pace del Risorto

«Pace a voi» è il saluto del Risorto ai suoi discepoli: ogni volta che si fa presente alle donne o al gruppo dei discepoli, nel Cenacolo o lungo la strada, Gesù si rivolge a loro con queste parole. Ora più che mai desideriamo sentirle rivolte a noi e potrebbero essere anche l’espressione con la quale ci scambiamo gli auguri il giorno di Pasqua, perché, come scrivevo lo scorso anno a proposito della salute, quando stavamo combattendo un’altra battaglia contro il Covid, ci si accorge della mancanza delle cose importanti quando queste vengono a mancare: così è per la pace. La guerra è entrata con prepotenza dentro alle nostre case come nei discorsi che ci scambiamo in famiglia, tra amici, a scuola, nei luoghi di lavoro e di ritrovo: in verità il fantasma bellico non ci ha mai abbandonato perché, nonostante le tante dichiarazioni di principio contro gli orrori che i due conflitti mondiali del 20° secolo hanno prodotto, in tante parti del mondo si è continuato a combattere quella che il papa ha più volte definito una «terza guerra mondiale a pezzi». A ogni ora del giorno e della notte le immagini di distruzione e di morte sono diventate di casa, tanto che rischiamo di piombare in una sorta di assuefazione nell’assistervi, non lasciandoci più sconvolgere da nulla, nemmeno da un’intera città rasa al suolo. Non possiamo diventare vittime a nostra volta di quello che è uno dei primi scopi della guerra: creare paura e una sensazione di impotenza; dobbiamo invece vaccinarci contro la logica dell’indifferenza e la cultura della morte. L’unico modo per farlo è sentirci noi, in prima persona, chiamati a vivere la pace del Risorto: indignarci contro un mondo che per sconfiggere la guerra si arma in modo sempre più forte, rinunciando ad azioni di pace e di riconciliazione. Ma anche diventando costruttori di pace: a partire dal ricordarci che ogni atto di violenza, verbale o fisica che sia, è preludio alla guerra; che ogni azione di vendetta o di sopraffazione sull’altro è, in piccolo, ciò che in grande compiono coloro che, in nome dell’affermazione del proprio potere personale o nazionale che sia, annientano l’altro. I fenomeni delle baby-gang, del bullismo e di tante varie forme di violenza e discriminazione sempre più diffuse forse non vanno sic et simpliciter assimilate alla guerra, ma dobbiamo ammettere che portano in sé gli stessi virus mortiferi che la causano e ne possono diventare l’anticamera. La gestione dei conflitti, la tensione al superamento delle divisioni e di ogni forma di violenza non sono solo una questione psicologica, sono anche una questione etica che chiede educazione ai valori e allenamento della volontà. Famiglia e scuola, a qualunque età, a questo sono chiamate: non tanto a parlare di questa o quella guerra, in modo estemporaneo e circoscritto, ma a essere permanenti scuole di pace perché il saluto del Cristo Risorto diventi realtà e, nel nostro piccolo, noi ci facciamo garanti della pace. La scuola, la nostra scuola, sente forte la responsabilità di trasmettere quelle competenze di cittadinanza indispensabili per promuovere società più giuste e solidali, attraverso esperienze concrete di riconciliazione e di attenzione verso gli altri, per avvicinarci all’obiettivo di costruire la fraternità universale. Ma non bastano le nostre forze: con quelle costruiremo la pace precaria del mondo, basata sul compromesso e sulle alleanze dei governanti del momento. Noi ci sentiamo chiamati invece a portare la pace vera, quella che riceviamo il giorno di Pasqua e che ci permette di realizzare il sogno di Dio: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). Solo così potremo riconoscerci fratelli tutti, protagonisti nella realizzazione di un bene che è più forte e potente del male e della violenza, senza rassegnarci di fronte alle piccole o grandi ingiustizie che incontriamo. Voglio concludere con le parole scritte da un mio alunno in questi giorni: «Noi tutti viviamo in un mondo basato sul consumismo, siamo tutti noi concentrati sull’Io, siamo persone egoiste. Viviamo ancora in un mondo che vuole distruggere esseri uguali a noi (guerra Russia-Ucraina) solo per dimostrare la nostra supremazia. Viviamo in un mondo dove nessun paese riesce a bloccare le ostilità (oltre un mese di incontri tra potenze e la guerra continua!). Forse perché anche loro non hanno interessi veri per bloccare queste malvagità; come sottolinea il papa viviamo in un mondo dove manca la condivisione, manca il dialogo. Vere sono le parole di Martin Luther King: “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come pesci, ma non abbiamo imparato l’arte del vivere come fratelli”. Dobbiamo iniziare ad abbandonare la visione dell’io e pensare a noi come una comunità, come unico genere umano legato all’ambiente. Dobbiamo imparare a non distruggere ma a creare amore e fratellanza... e per molti di noi tutto ciò è utopia». A questo bravo giovane, come a tutti noi, vorrei ricordare con gratitudine che utopia può significare non-luogo (ou-topos), ma anche luogo del bene (eu-topos): illuminati dalla vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte, vogliamo sentirci in cammino verso l’utopia che è luogo del bene... dove l’unica legge è il comandamento nuovo dell’Amore.

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