La “guerra dei mondi”: le geometrie della nuova cortina di ferro
Il frangente è propizio alla Turchia per strappare inedite tolleranze all’ampliamento della sua sfera d’influenza, sia terrestre (in Nordafrica e nei Balcani, oltre che in Caucaso e Medioriente) sia marittima (nel Mediterraneo orientale).
Nel 1897 Herbert Wells pubblicava “The War of Worlds”, uno dei primi romanzi di fantascienza. Con esso stigmatizzava le giustificazioni del colonialismo inglese: “Siamo tali apostoli di pietà da lamentarci se i marziani ci portassero guerra nello stesso spirito?”, scriveva nel libro, narrando di un’invasione extraterrestre che, seminando distruzione e sgomento in Inghilterra, porta i sopravvissuti alla disperazione, con annessi piani deliranti per annientare gli alieni – neutralizzati a sorpresa da una classe di batteri anziché dagli umani.
Nel 1938 Orson Welles adattò il racconto a una trasmissione radiofonica, con una cronaca talmente realistica da far credere al pubblico che fosse tutto vero. Ciò che si apparecchia dallo scorso febbraio invece è realtà, ma configura comunque una guerra da condurre a oltranza contro un “mondo alieno”, ignoto fino a ieri. Così pare, se il segretario Nato, rivolgendosi al Parlamento Ue, ha chiesto crudamente di cessare le lamentele e di predisporre i cittadini a sostenere sine die i sacrifici imposti dalla necessità della vittoria occidentale per interposta Ucraina. L’intemerata di Stoltenberg mostra che non è basta l’inclusione nella Nato di Svezia e Finlandia per sentirci al sicuro, con buona pace – si fa per dire – dei curdi (perché è immorale non inviare armi all’Ucraina, ma non lo è acconsentire alla pretesa turca di disarmare la resistenza curda in Siria).
Eppure il mondo atlantico sembra avere fatto altri passi in avanti. Nel vertice con Draghi, l’“alleato e amico” (già dittatore) Erdogan, ha gettato le basi per dotarsi del sistema missilistico italo-francese Samp/T, in sostituzione del russo S-400, riattivando l’operazione bloccata da Parigi nel 2019, quando Ankara decise di intervenire nel Kurdistan siriano. In effetti, il frangente è propizio alla Turchia per strappare inedite tolleranze all’ampliamento della sua sfera d’influenza, sia terrestre (in Nordafrica e nei Balcani, oltre che in Caucaso e Medioriente) sia marittima (nel Mediterraneo orientale), scandita dalle reminiscenze ottomane della dottrina della “Patria blu” varata da Erdogan.
Ma le geometrie non risultano statiche neanche nel “mondo alieno”. Rientrato Biden dall’Arabia Saudita (vano il tentativo di reclutarla nel fronte anti-russo), a Teheran si è tenuto il trilaterale tra Raisi, Putin ed Erdogan. Già il fatto che il capo del Cremlino sia stato ricevuto (evento inconsueto nel protocollo locale) anche dall’ayatollah Khamenei, suprema guida spirituale della Repubblica islamica, smentisce l’ipotesi di uno sganciamento dell’Iran dalla Russia per agevolare nuovi negoziati sul nucleare con gli Usa. A parte il risultato del leader turco, interessato a vantare in Occidente la disponibilità incassata da Putin sul corridoio del grano, altri elementi dichiarano importanti evoluzioni nell’antagonismo all’Occidente. Oltre ad affrontare il dossier siriano (addebitando il conflitto all’illegalità dell’intervento militare Usa), il vertice ha fruttato la collaborazione iraniana quale tramite per i flussi commerciali della Russia con il Venezuela e con l’India, che nel secondo trimestre 2022 ha sestuplicato l’importazione di greggio russo rispetto al secondo trimestre 2021.
Rileva soprattutto l’accordo tra Gazprom e la Nioc iraniana, che prevede una mole di investimenti tra le più ingenti della storia economica del Paese per l’estrazione di petrolio e gas. Il suo lancio sul mercato finanziario nella coppia valutaria rublo-riyal conferma l’intento di de-dollarizzare le transazioni e va connesso, oltre che al piano di un sistema di pagamenti alternativo allo Swift, al progetto R5 per una riserva valutaria internazionale condivisa dal gruppo Brics: l’alter ego del G7, cui Iran e Argentina hanno recentemente chiesto di aderire, quando già bussano alla porta Arabia Saudita, Indonesia, Nigeria e Senegal, mentre Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Uruguay vengono guadagnati alla Nuova Banca di Sviluppo, istituita come alternativa del Fmi e della Banca mondiale.
Né di sola pecunia si tratta. Teheran infatti è l’ultimo partner accolto (nel 2021) nell’Organizzazione di Cooperazione per la Sicurezza di Shanghai, pertanto non stupirebbe trovare confermata la notizia della fornitura di droni iraniani da impiegare in Ucraina. Certo ben altro effetto desterebbe lo svolgimento delle esercitazioni militari di Russia, Iran, Cina e altri 10 Paesi che talune fonti danno per programmate ad agosto nel cortile di casa degli Usa: in Venezuela e forse in Nicaragua, che ha già autorizzato le forze armate russe ad addestrare in loco le proprie per operazioni di ricerca e salvataggio in situazioni di emergenza. Il tutto secondo il linguaggio della reciprocità di azioni e reazioni tra mondi multipolari soggetti a un’anarchia più irregolare di quella vigente nel ’900 bipolare: quando l’esame di realtà sul gioco a somma zero intimava ai protagonisti di misurare le ambizioni in ragione dei limiti propri e non solo quelli altrui. Senza erigere a bandiera l’illusione di essere giunti alla “fine della storia”, a un passo dal rimuovere gli ultimi ostacoli all’universalizzazione del migliore dei mondi possibili. Vale a dire il proprio.
Giuseppe Casale*
*Pontificia Università Lateranense