La canonizzazione di John Henry Newman e la usa portata umana, religiosa e intellettuale. Protagonista del suo tempo
Un uomo che ha attraversato e influenzato un’epoca assai importante per la storia dell’Europa: l'Ottocento.
La notizia, positivamente commentata anche dalla Chiesa anglicana, della prossima canonizzazione di John Henry Newman (1801-1890) riapre un discorso che in realtà non si era mai completamente interrotto: quello della portata complessiva, umana, religiosa e intellettuale di un uomo che ha attraversato – e influenzato – un’epoca assai importante per la storia dell’Europa. Newman è stato, fino al 1845, ministro e predicatore anglicano, poi, al culmine di una lunga crisi religiosa, ha abbracciato la fede nella Chiesa di Roma. Ma chi cercasse uno stacco imperioso nelle sue opere tra i due momenti resterebbe deluso: rimane semplicemente un cercatore di verità. Se si leggono ad esempio le sue poesie – e “Newman poeta” è il titolo del volume della Jaca Book curato da Luca Obertello – ci si accorgerebbe che quei versi imbevuti di platonismo sono stati scritti nel settembre del 1826, prima del suo passaggio al cattolicesimo, e la dicono lunga sulla complessità della sua formazione poetica e filosofica: la critica lo ha sempre considerato vicino alla filosofia aristotelica e avrebbe dovuto dimostrarsi, nell’ottica della divisione rigida in scuole di pensiero, ostile all’“avversario” Platone. Che invece fa capolino in quella concezione di un eden perduto cui tornare attraverso il dolore ma anche il riconoscimento della bellezza della realtà.
A leggere queste poesie si ha la sensazione di un uomo che tende al principio originario, aspirando all’essenza di ogni cosa al di là delle forme fini a se stesse: “Gli elaborati trastulli dell’arte di maggior fama/sono privi di vigore, freddi e muti”.
Abbiamo parlato di Aristotele: sui rapporti tra l’originale, lo ripetiamo ancora una volta, pensiero dell’inglese e la filosofia ci può essere utile un volume delle Edizioni Studium, “J. H. Newman e l’abito mentale filosofico”, scritto da Angelo Bottone, un vero esperto sull’argomento che ha il merito di spiegare dove sia rintracciabile l’influenza aristotelica, fatta salva la capacità di Newman di essere un produttore autonomo di pensiero: “Aristotele (…) gli fornisce un tentativo coerente di integrare differenti forme di conoscenza verso un’unità”.
Per avere un’immagine globale, immersa nella storia e nella cultura del suo tempo, si può tornare al volume di Paolo Gulisano, “J. H. Newman. Profilo di un cercatore di verità” (Àncora), che riesce a guidare il lettore attraverso complicate divisioni religiose e drammatiche fasi storiche, presentando un Newman immerso nella storia del suo tempo ma in grado di avere e difendere un pensiero autonomo e indipendente, tanto da scatenare talvolta le antipatie di alcuni zelanti cattolici, tra cui il suo vecchio amico, come lui -anzi, grazie a lui- passato dall’anglicanesimo al cristianesimo, il cardinale Manning.
Ma com’era il predicatore Newman? Come faceva ad affascinare i colti con parole semplici e vicine alla sensibilità popolare? Lo possiamo capire leggendo direttamente alcuni dei suoi sermoni, nel volume “Aprire il cuore alla verità. Tredici sermoni scelti da lui stesso”, (a c. di Vincent F. Blehl, con prefazione di M. Spark, Lindau) dove emerge anche l’altro elemento-chiave della complessa personalità di Newman, la sua capacità di entrare nel cuore degli uomini e di snidare anche i pensieri più riposti, e che il predicatore riesce a riportare alla coscienza, non solo all’intelligenza.
Newman si mostra, attraverso questi contributi, non solo un testimone, ma anche un protagonista della grande reazione di metà Ottocento contro i metodi dell’industrializzazione che portò l’Inghilterra al grande balzo in avanti a scapito dei poveri, dei bambini, degli abbandonati, formando con Ruskin e Dickens, inglesi come lui, la grande difesa dei valori dello spirito e del diritto ad una felicità che non fosse fatta solo di utile.
Marco Testi