L'Italia ha il maggior numero di Neet dell'Unione Europea. Quali prospettive lavorative per i giovani?
Non solo abbiamo la più alta percentuale di giovani che non studiano e non lavorano, ma assistiamo a una nuova emigrazione verso l'estero.
All’Italia spetta un triste primato, secondo i dati Eurostat, la porzione dei giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano tirocini, i Neet, è la maggiore tra i Paesi dell’Unione europea. Le ultime rilevazioni, che riguardano il 2018, evidenziano che il 28,9% dei ragazzi e le ragazze italiani tra i 20 e i 34 anni rientra in quel gruppo, siamo davanti alla Grecia con il 26,8% e la Bulgaria 20,6%. Gli altri grandi Paesi sono più distanti la Spagna è al 19,6%, la Francia al 17,7%, la Germania all’11,4%.
Sebbene il probema coinvolga tutti i Paesi del vecchio continente, dato che 1 giovane europeo su 6 si trova in questa condizione, la questione assume toni molto più gravi in Italia. Il Paese inoltre vive un flusso migratorio verso l’estero. Negli ultimi dieci anni sono oltre 420 mila i cittadini italiani, che hanno deciso di varcare il confine, i movers. Tra loro circa la metà è composta da giovani (208mila), secondo il recente rapporto demografico dell’Istat. Stiamo tornando un popolo di migranti. Siamo più fortunati di altri, non abbiamo bisogno di barconi. Abbiamo un’ampia libertà di movimento grazie all’Ue.
I Neet e i movers sono due facce della stessa medaglia: disorientamento e fuga sono due comportamenti che evidenziano i limiti del nostro sistema sociale, incapace di offrire una prospettiva. I giovani sono abbandonati a loro stessi nelle scelte.
I più deboli cadono nel limbo. In parte senza capire quali opportunità cogliere nel mercato del lavoro, che vedono molto volatile; in parte – dentro una condizione di forte vulnerabilità – entrano in un mondo del sommerso, poco visibile con le statistiche ufficiali.
I più forti, invece, decidono di andare via e intraprendere carriere professionali in altri paesi. Sono da un lato i laureati che cercano di mettere in pratica quello che hanno studiato, dall’altro lato ci sono i ragazzi con un titolo di studio più basso che trovano spazio nella ristorazione o nel commercio, saranno camerieri, cuochi o commessi. In Italia potrebbero accedere a mestieri simili, ma le condizioni offrono dalle altre parti sono migliori.
C’è molto da fare per consentire ai nostri ragazzi di avere una prospettiva. Non è sufficiente il sistema d’istruzione, serve chiarezza nel mondo della produzione, serve progettualità per lasciar intravedere possibili linee di sviluppo dell’economia, sulle quali poter investire la propria professionalità. Il mondo del lavoro fatto di posti esecutivi senza qualifiche e relazioni è finito, servono mestieri e professioni precise. Questo molti giovani l’hanno capito. Però se il sistema italiano non diventa propositivo e continua a proporre qualche posto, invece di prospettive, tanti lo saluteranno verso approdi migliori.