L’Europa “à la guerre”: bluff o profezia che si autoavvera? Ricordando il 1914
Perché giovedì Peskov, portavoce del Cremlino, ha parlato di guerra, dismettendo la formula della “operazione militare speciale”?
Nella strage del Crocus Hill in molti hanno visto un terribile presagio, temendo la reazione d’impulso di Mosca. Il Cremlino ora prende tempo, dopo la cattura dei terroristi a 100 km dal confine ucraino, vagliando la matrice.
Eppure un’escalation di recente c’è stata, ma nei tre giorni precedenti all’attentato. Sul campo ucraino, la Russia ha avviato un nuovo assetto ricorrendo ai bombardieri, intensificando i raid e mirando sistematicamente alle strutture di generazione di energia, anziché di distribuzione. Tanto che si registra un -20% di elettricità, con ripercussioni sulla logistica dei rifornimenti, oltre che militari, anche alimentari.
Potrebbe essere il riscontro a un passaggio del discorso post-elettorale di Putin: fiaccare per avanzare ancora, precostituendo una “striscia di sicurezza” demilitarizzata. Il che incrocerebbe i cenni di Zelensky a una linea fortificata alle spalle e parallela a quella del fronte. In prospettiva: una terra di nessuno interposta come premessa a una soluzione “alla coreana”. Resterebbe l’ostacolo ai negoziati rappresentato da Zelensky stesso, compromesso com’è dalle promesse di vittoria e l’autodivieto a trattare. Ma superarlo non sarebbe impossibile, se si volesse.
Allora perché giovedì Peskov, portavoce del Cremlino, ha parlato di guerra, dismettendo la formula della “operazione militare speciale”?
La risposta si trova nelle esternazioni di Macron e Michel sul possibile dispiegamento di un intervento diretto, sulla riconversione a un’economia di guerra, sul dovere di scelte radicali, sulla coesione militare come fondazione dell’unità politica europea. Questo il preludio al vertice del Consiglio europeo, che però non ha trovato la quadra sulle risorse del riarmo, visto che il finanziamento in debito mediante gli Eurobond non ha convinto tutti. Il ripiego sull’uso dei patrimoni privati russi confiscati sarebbe insufficiente a coprire il fabbisogno per la tenuta nel 2024 dell’Ucraina, che, rebus sic stantibus, per gli analisti, consisterebbe ancora in qualche mese. Al di là dell’illegittimità a norma delle leggi vigenti, l’opzione, creando un precedente, disincentiverebbe ulteriormente l’afflusso di capitali in un’Europa che già soffre la migrazione dei propri verso gli Usa. La convergenza si è avuta nel documento finale sul bisogno di osare di più per “una preparazione militare e civile rafforzata e coordinata” contro la Russia.
Per alcuni sarebbe il sigillo del disimpegno Usa, che delegano l’Europa per dedicarsi alla Cina. È notizia recente l’integrazione di Taiwan nel sistema Link 16 che collega Nato, Giappone Sud Corea e Australia, concomitante all’installazione di una base di addestramento su un isolotto a 10 km dalla costa cinese e alla partecipazione delle Filippine alla Comprehensive Archipelagic Defense Concept.
Ma la logica tiene nel medio-lungo periodo, visto l’assottigliamento delle scorte d’armi europee, quando invece è immediato lo sforzo che l’Ucraina richiede. Come pure sarebbe la minaccia esistenziale addebitata alla Russia per spiegare che l’Ucraina sta arginando il piano di Mosca di invadere l’Europa, infischiandosene dell’art. 5 del Trattato Atlantico e dello scontro atomico. Ecco dunque l’impasse argomentativa, oltre che strategica: avendo ribadito che soltanto il campo di battaglia darà la soluzione e vista la minaccia imminente, dal momento che lo scudo ucraino sta per cedere, si dovrà davvero intervenire. In caso contrario la certezza sull’espansionismo russo darebbe l’impressione di un mantra propagandistico. Come metterla poi con l’immagine di un Occidente collettivo che abbandona i suoi aspiranti protetti?
Non che sia impossibile farsi intrappolare dalla ragnatela delle proprie narrazioni, costringendosi ad azzardi non pianificati. A riguardo vale un’ipotesi, rintracciabile nel sottotesto delle parole di Macron: occorre mostrare i denti a scopo deterrente, per evitare che l’avanzata russa sfondi verso Kiev. Un bluff dunque? Ma per essere credibile, esso parteciperebbe alla tipica spirale del “dilemma della sicurezza”: nella prospettiva russa, vedere gli euroatlantici agitarsi non solo confermerebbe le ragioni della mossa sull’Ucraina, ma spingerebbe ad alzare il livello dell’azione su quest’ultima in funzione preventiva e controdeterrente. Questo può spiegare le parole di Peskov.
Inoltre la credibilità coinvolge la ricezione dei cittadini europei, cui non si può bisbigliare nell’orecchio che si sta bluffando. Un intervento in Ucraina che non faccia strage indiscriminata della popolazione impone una guerra di posizione, come quella in corso. Non bombardamenti a tappeto e azioni da remoto, come in Serbia, Iraq e Libia. Il che richiede arruolamenti e richiami, non bastando i militi di professione. E quanti partirebbero per la trincea ucraina senza colpo ferire? I tagli per concentrare la spesa pubblica su un riarmo convincente quali contraccolpi produrrebbe nei settori socioeconomici già in affanno? Specie dove l’opinione pubblica è scollata dalla linea di governo sul dossier ucraino e israelo-palestinese. Per non parlare del malumore nelle forze armate, che nei rapporti – si vedano quelli divulgati in Francia dalla rivista Marianne – evidenziano l’asimmetria con la Russia in diversi comparti tattici nel teatro in tema. In questi termini, il bluff rischia di avvitarsi in una profezia che fa di tutto per avverarsi.
Dicendo necessario indossare l’elmetto, diverse voci indicano la lezione della Seconda Guerra mondiale e il fallimentare appeasement con Hitler, sorvolando sulla differenza di assetti, vertenze, attori e glissando sul rischio nucleare. Allora perché non ripassare il piano inclinato del riarmo deterrente che condusse alla Prima Guerra? Nel 1914 bastò un attentato a Sarajevo, eseguito da una mano non guidata da una potenza in lizza per innescare la mattanza europea, che nel 1917 incrociò una rivoluzione capace di rovesciare un impero, consegnando il continente alla via di un tramonto poi completato dallo schiacciamento tra rivalità altrui. Analogie decontestualizzate, forse. Ma si sa, i ricorsi si avvalgono di replicanti inconsapevoli: quanto gli orchestrali sul Titanic, occupati a suonare il repertorio ignari della rotta di collisione. Si sente ripetere: si deve osare per evitare la Terza Guerra mondiale. Su questo piano, potremmo non avere modo di dibattere su come evitare la Quarta.
Giuseppe Casale*
*Pontificia università Lateranense