In prima fila. Nel mondo l'Italia agroalimentare è sempre sugli scudi
L’export del settore è cresciuto ancora, ma la complessità della situazione internazionale obbliga a fare molta attenzione.
L’agroalimentare italiano corre sempre di più nel mondo. E’ un’indicazione importante e non solo per gli agricoltori. Mentre infatti, stando agli ultimi dati disponibili (quelli di marzo scorso), il commercio estero in generale langue, le esportazioni agroalimentari nostrane sono cresciute – in termini di aumento tendenziale – del 3,7% e “contribuiscono a salvare la bilancia commerciale dell’Italia”, ha commentato in questi giorni Coldiretti. E tutto questo anche tenendo conto delle difficoltà con gli Stati Uniti, oltre che dell’incertezza generale sui mercati internazionali. Emerge così un dato di fondo: la capacità del settore agroalimentare di stare al passo con le dinamiche dei mercati internazionali, anche in tempi difficili e anche tenendo conto delle fragilità insite nella filiera.
Se si guarda oltre il numero generale, tuttavia, si capisce meglio la situazione. L’essere in controtendenza rispetto all’andamento generale, per esempio, si coglie ancora di più – fa notare Coldiretti -, se si tiene conto del +6,7% delle vendite negli Usa a fronte di un calo generale dell’11,1% e del clima di incertezza legato ai dazi decisi dal presidente Trump contro una serie di prodotti europei. Ma il cibo Made in Italy cresce anche in Cina (+4,5%), altra protagonista della guerra commerciale in atto, a fronte pure qui di una diminuzione generale del 3,1%.
A “vendere” in giro per il mondo, sono d’altra parte un po’ tutte le regioni agricole italiane. Sempre Coldiretti ha calcolato il tasso regionale di variazione dell’export in dieci anni (2008-2018), un’operazione che indica, per esempio, come le vendite oltre confine delle regioni del Nord siano cresciute del 50,7%, quelle del centro del 49,6 e quelle del Sud del 35,6%. Oltre ad Usa e Cina, poi, i produttori italiani continuano ad avere in Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Svizzera i clienti principali e affezionati. In testa alla classifica dei più esportati si piazza il vino, con un valore di 6,2 miliardi e una crescita del 56,9%, ma spiccano anche i risultati ottenuti nel decennio da prodotti italiani come gli agrumi (+89,5%), latte e formaggi (+82,3%), carni e salumi (+70,2%).
A conti fatti, stando ad uno studio Censis per Coldiretti e Filiera Italia, dal 2008 ad oggi le esportazioni agroalimentari sono salite da 23,6 miliardi a 41,8 miliardi di euro, con un aumento del 47,8% (contro il +16,5% del totale dell’economia). Una crescita importante, che, adesso, potrebbe essere rallentata dalle diatribe fra Usa e Cina e fra Usa ed Europa. Gli Stati Uniti, ha fatto notare fra l’altro Confagricoltura qualche giorno fa, “chiedono di trattare anche sulle questioni agricole, con l’obiettivo di ridurre il disavanzo dell’interscambio commerciale di settore con la UE che è stato di 10 miliardi di dollari alla fine del 2018”.
La morale di tutto questo? I numeri indicano certamente, come hanno sottolineato i coltivatori diretti, “la capacità del settore agroalimentare tricolore di intercettare la nuova domanda globale di alta qualità e tipicità nell’alimentare ma anche di interpretare l’attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale”. E’ necessario però non abbassare la guardia. Il comparto deve ancora scontare notevoli ritardi. Da un lato occorre fare i conti con il sistema dei trasporti e infrastrutturale che non sempre appare essere all’altezza delle aspettative degli operatori. Dall’altro, l’intera filiera agroalimentare nazionale non sempre riesce a presentarsi unita agli appuntamenti e alla sfide internazionali, anche se molto, in questo senso, si sta facendo.
E’ quindi ancora una strada lunga e piuttosto in salita, quella che aspetta il comparto agroalimentare nazionale. Ma capacità e risorse per fare bene non mancano di certo.