Il viaggio missionario del vescovo Claudio. Brasile, laboratorio di futuro
Roraima, ma anche Petropolis e Duque de Caxias. Bastano le tappe del viaggio missionario in Brasile di mons. Claudio Cipolla per coglierne l’obiettivo principale: visitare ed esprimere vicinanza ai sette preti missionari padovani attivi oggi nel maggior Paese latino americano, ma anche toccare con mano gli effetti della presenza della nostra Chiesa nei decenni di presenza alle diverse latitudini.
Un viaggio nella pandemia
È stato un viaggio, quello del vescovo Claudio, segnato dalla morsa della pandemia che tutt’ora attanaglia il Brasile. «Ho percepito chiaramente la preoccupazione per l’alto numero di contagi e le oltre 500 mila vittime – racconta il vescovo al telefono, mentre completa la quarantena obbligatoria per chi rientra dal Sud America – Proprio durante uno dei nostri incontri, il vescovo di Roraima, mons. Mario Antonio Da Silva, ha condiviso con me il comunicato che la Conferenza episcopale ha poi diramato il 9 luglio, stigmatizzando la gestione della pandemia». Quelle dell’episcopato brasiliano sono parole forti, e fanno seguito a una presa di posizione altrettanto netta già presa in aprile. «La società democratica brasiliana sta attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia – si legge nella nota di pochi giorni fa – La gravità di questo momento richiede coraggio, saggezza e, naturalmente, una pronta correzione da parte di tutti. La tragica perdita di oltre mezzo milione di vite è aggravata dalle accuse di illeciti e corruzione nella lotta contro la pandemia di Covid-19».
Il riferimento è ai traffici poco trasparenti attorno all’acquisto di vaccini con l’opaca presenza di mediatori collegati direttamente al Ministero della salute brasiliano. Pare che i prezzi delle dosi siano stati fatti lievitare per avvantaggiare una precisa casa farmaceutica e che il presidente Bolsonaro fosse informato dei fatti fin da marzo.
Le prospettive in Roraima
La solida presenza sociale della Chiesa brasiliana si è quindi confermata anche in occasione del viaggio di don Claudio, che ha toccato con mano gli effetti pandemici anche sull’attività missionaria nell’ultimo anno e mezzo. «Nella diocesi amazzonica del Roraima, la nostra presenza ha tre prospettive – racconta il vescovo – Anzitutto confermare il nostro servizio a Caracaraì dove operano don Luigi Turato, don Benedetto Zampieri, don Mario Gamba e don Orazio Zecchin che ora torna a Padova dopo 49 anni. Desideriamo qualificare la pastorale ribeirinha (nei confronti delle comunità fluviali lungo il Rio Branco, ndr) nella quale è ancora possibile incontrare villaggi che non hanno mai ascoltato l’annuncio del Vangelo. In secondo luogo, continueremo a prenderci cura della pastorale cittadina di Caracaraì ed Iracema, specialmente seguendo molte delle emergenze create proprio dalla pandemia. Infine guardiamo alle comunità rurali, spesso lontane dalla città, dove si trovano numerosi insediamenti di chiese evangeliche protestanti, con le quali la relazione non è sempre semplice».
La presenza indigena e la migrazione venezuelana
Caracaraì è un osservatorio privilegiato sull’approccio predatorio dell’uomo sul creato, a partire dal progetto di centrale idroelettrica di Bem Querer sul Rio Branco che avrebbe enormi ripercussioni sull’ecosistema e su tutta l’economia di sussistenza legata al fiume.
La diocesi amazzonica è anche uno dei punti nevralgici della presenza indigena in Brasile. Una presenza dalle molte declinazioni: ci sono i gruppi etnici che vivono nelle grandi riserve, a volte anche isolati, mentre in altri casi gli indio hanno scelto la vita in città e si integrano. Prova ne sia il fatto che tre seminaristi a Caracaraì oggi provengono proprio dalle popolazioni originarie, la cui identità è rispettata anche dalla Chiesa attraverso una pastorale dedicata.
Ma Roraima è anche la porta di accesso al Brasile per i migranti venezuelani: della loro situazione ci si occupa a Boa Vista, la capitale, ma anche dal villaggio di frontiera di Pacaraima, dove pure si è recato mons. Cipolla: «L’impressione è di una situazione sospesa, attorno alla frontiera la cittadina si è spaccata all’aumentare dei flussi. Proprio in questi giorni gli ingressi illegali di profughi venezuelani sono passati da 100 a 850 al giorno, nonostante la frontiera ufficialmente sia chiusa, come raccontatoci da don Jefferson, prete diocesano di Roraima parroco in loco. Una situazione veramente difficile! La Chiesa lì ha fatto molto, ma anche le Ong e l’esercito stesso, consegnando pacchi alimentari e fornendo supporto, non respingendo i migranti. Molto preoccupante è invece la situazione che abbiamo trovato nel vicariato apostolico di Caronì, oltre il confine, in Venezuela. Oggi sono attivi solamente il vescovo Gonzales e un prete diocesano, ma dalla diocesi di San Cristobal è in arrivo il nuovo vescovo mons. Gonzalo Ontiveros, tre preti diocesani e una serie di ministri laici. Per questo ho chiesto a don Mattia Bezze, rientrato dopo la chiusura della missione in Ecuador, di osservare questa fase di transizione per comprendere se la Chiesa di Padova può dare una mano, magari coinvolgendo altre diocesi in Italia o in Brasile».
Che cosa stiamo imparando
«Incontrando il consiglio presbiterale di Roraima ho confermato la nostra soddisfazione per l’esperienza che stiamo vivendo lì – conclude il vescovo Claudio – Sostenere una Chiesa più piccola e meno istituzionalizzata mantiene in noi l’attenzione verso chi è più fragile. Ma, allo stesso momento, possiamo imparare da loro la fatica di costruire da zero nuove comunità cristiane, dove non ci sono mai state oppure dove sono lontane o esposte a dinamiche sociali e religiose anche molto complesse. È significativa per noi anche la fisionomia della loro pastorale, incentrata sulle ministerialità dei laici e sull’esperienza di fraternità che i nostri preti stanno vivendo a Caracaraì e infine ci torna utile l’interesse per il rapporto con il creato: nelle dovute proporzioni siamo anche noi alle prese con le nostre devastazioni, come la contaminazione da Pfas e la cementificazione del suolo».
La dedizione di laici, religiose e preti
Le tappe del viaggio a Petropolis e Duque de Caxias
A Petropolis e a Duque de Caxias il vescovo Claudio ha fatto memoria della presenza diretta dei preti, delle religiose e dei laici padovani, comprendendo tutto lo spessore degli uomini e delle opere. «Con la morte di don Francesco Montemezzo la Chiesa di Petropolis ha perso un padre. Abbiamo reso omaggio alla sua tomba, abbiamo visto le immaginette, i quadri, i video che gli sono stati dedicati e le opere che ora portano il suo nome: è stato un grande confessore, anche di molti preti. Dobbiamo essere particolarmente grati a lui e ai molti padovani che hanno dimostrato una dedizione esemplare per la loro missione».
Anche a Duque de Caxias, lasciata tre anni fa, la nostalgia e l’affetto sono palpabili nei confronti dei preti e anche delle suore Dimesse, ancora presenti, e delle suore della Divina Volontà. Qui il vescovo ha visitato molte delle chiese aperte dallo stesso don Orazio Zecchin, a breve di ritorno a Padova, anche all’interno di una favela, mentre nel seminario di Petropolis ha visitato due sale dedicate a mons. Giorgio Facchin.
Il Paese attraversa una delle sue fasi più complesse
«In cinquant’anni non ho mai visto un momento così difficile nella vita sociale e politica del Brasile. Si vanno perdendo tutti i riferimenti». Sono parole del vescovo emerito di Volta Redonda, il missionario padovano Francesco Biasin all’ultimo “Lunedì della missione”, a maggio. Alla base di questa preoccupazione c’è la gestione della pandemia messa in atto dal governo che è costantemente alla ricerca dell’appoggio delle chiese neo o post pentecostali, appoggio spesso concesso. Fa molto discutere lo stanziamento per il 2021 di risorse per la sanità pari ad appena un terzo degli interessi sul debito pubblico e l’approvazione di una legge che ha messo un tetto per vent’anni alle spese socio-sanitarie. Ma non solo: rispetto alle popolazioni originarie sembra essere in atto un progetto genocida, sostenuto anche dall’approvazione a fine giugno in commissione alla Camera del progetto di legge 490 che permetterebbe un maggior sfruttamento delle terre indigene.
Padova-Brasile, una storia iniziata settant’anni fa
Dal 1951 sono ben 39 i missionari fidei donum partiti da Padova per il Brasile. Tra loro 26 sono i presbiteri e 13 i laici. La presenza padovana è iniziata a Petropolis, in Rio de Janeiro. Trent’anni dopo, nel 1981, è iniziato l’impegno in un’altra diocesi suffraganea di Rio, Duque de Caxias, dove i nostri missionari hanno operato fino al 2018. Molto scalpore ha fatto la morte recente di due preti quarantenni, conosciuti dai missionari padovani.
Dal 1990 al 2008 sono state aperte anche le missioni di Itaguaì, anch’esse poste nella mesoregione di Rio de Janeiro.
Dal 2008 invece lo sguardo si è volto a ovest e in particolare all’Amazzonia. Proprio nello stato di Amazonas, a Manaus, è divenuto missionario don Ruggero Ruvoletto, già direttore del Centro missionario diocesano, e qui ha trovato la morte. Quindi, nel 2017, Roraima.