Il rispetto che include. Ramadan e scuole: l'incontro tra culture diverse
E’ a scuola che impariamo a stare insieme, anche ricordando le feste “altrui” e certamente senza dimenticare o nascondere quelle più prossime
Una scuola decide di restare chiusa per la festa di fine del Ramadan e purtroppo, come spesso accade, la questione diventa immediatamente oggetto di polemica politica. Con tanto di denuncia per la scelta “inaccettabile”, che va contro i valori, l’identità e le tradizioni della nostra Italia, fino allo spauracchio sventolato del “rischio islamizzazione”. E’ il caso dell’istituto di Pioltello, che ha tenuto banco sui media e provocato anche una indagine – discussa – da parte del Ministero.
Da Pioltello, nel Milanese, a Soresina, in provincia di Cremona. Qui niente scuola chiusa, ma una circolare della preside “incoraggia” i docenti “a dimostrare sensibilità culturale e religiosa durante il Ramadan e a rispettare le pratiche religiose; alcuni studenti potrebbero essere affetti dalla riduzione dell’energia dovuta al digiuno, siate comprensivi rispetto all’attività didattica”. Non solo: la dirigente scolastica suggerisce di evitare di consumare cibi e bevande all’interno della scuola durante le ore di digiuno del Ramadan “come segno di rispetto per coloro che lo stanno osservando. E se notate stanchezza o disagio in studenti o colleghi offrite il vostro sostegno e comprensione”.
Come interpretare queste posizioni? Probabilmente non con l’allarmismo della propaganda politica, ma facendo un esercizio supplementare di riflessione sulle scelte condivise all’interno di plessi scolastici che sembrano aver preso sul serio anzitutto la propria popolazione studentesca e il compito educativo. E anche – è un tema che ritorna nei commenti di autorevoli osservatori (compreso, ad esempio, l’arcivescovo di Milano, o il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana) – la questione del rispetto e della libertà religiosa. Senza nulla togliere alla laicità della scuola e alle radici culturali del nostro Paese.
Venendo al caso di Pioltello, il più eclatante, il preside ha spiegato come sia stata considerata proprio la realtà concreta della popolazione scolastica, insieme al parere degli insegnanti e del Consiglio di istituto. Non è questo un modo concreto, fattivo, di dimostrare l’autonomia? Con al centro gli allievi e le loro esigenze.
E da Cremona, ancora più chiara, emerge l’importanza che la scuola consideri i diversi orientamenti valoriali e religiosi ben presenti tra studenti e famiglie. Mostrarsi rispettosi – anche fattivamente – verso culture che si “mescolano” tutti i giorni nelle aule scolastiche è un elemento forte di inclusione. Significa dare spessore alle tradizioni senza per questo farne prevalere una sull’altra, senza “cedere” all’Islam conquistatore come paventato all’immaginario collettivo dai polemisti di professione.
L’islamista Paolo Branca su Avvenire suggeriva giorni fa: “La complessità del reale spaventa coloro che non hanno alcuna autentica identità forte e matura e si allarmano di fronte a qualsiasi differenza. Le nostre scuole sono già da decenni impegnate a gestire con buon senso e misura numerose situazioni in cui c’è ampio spazio per le cose negoziabili all’interno di una società aperta e pluralista, senza tuttavia ammettere e anzi prevenendo in ogni modo forme di costrizione”.
Insomma, la scuola fa davvero la scuola se tiene conto del pluralismo e se valorizza le culture (e le religioni). Anche quella islamica, che pure è ben presente in Italia e in Europa e che non va confusa con integralismo e terrorismo. E’ a scuola che impariamo a stare insieme, anche ricordando le feste “altrui” e certamente senza dimenticare o nascondere quelle più prossime, legate ad esempio alla tradizione cristiana.