Il paradosso dell’auto elettrica. Siamo sulla via giusta nel contenimento delle emissioni climalteranti? Il ruolo dei motori elettrici
La rivoluzione tecnologica di tale scelta determinerà una sicura perdita di molti posti di lavoro, dentro un indotto colossale fatto di marmitte, oli lubrificanti, cambi, componenti meccaniche, officine, pezzi di ricambio…
La (non) notizia è questa: dal 2035 non si potranno più vendere automobili con motorizzazione termica, a benzina o a gasolio (e pure le ibride). Non è una novità di queste ore per il semplice fatto che questa decisione era stata presa dall’Unione Europea nel luglio 2022, c’è stata un’ulteriore ratifica ma la strada era già stata segnata.
Siamo sulla via giusta nel contenimento delle emissioni climalteranti, con il passaggio in massa alle motorizzazioni elettriche? Molte voci preoccupate si sono levate in queste ore soprattutto in Germania e Italia, da importanti esponenti di governo fino a quel Romano Prodi che la Commissione Europea la guidò alcuni anni fa.
Le obiezioni: una data così ravvicinata e una modalità così secca rischiano di provocare un infarto all’Europa stessa, almeno a una parte fondamentale della sua economia qual è l’industria automobilistica. Anzitutto perché le batterie e le materie prime per questa svolta ci arrivano quasi tutte dall’esterno, in particolare dalla Cina.
Stiamo faticosamente uscendo da una dipendenza – quella dal metano russo –, ci consegniamo mani e piedi ad una ben più tosta, con un “fornitore” dal quale sarà difficile sganciarsi.
La rivoluzione tecnologica di tale scelta determinerà poi una sicura perdita di molti posti di lavoro, dentro un indotto colossale fatto di marmitte, oli lubrificanti, cambi, componenti meccaniche, officine, pezzi di ricambio… Ma è il progresso, non può essere questo “dettaglio” a fermarlo.
Il punto vero è un altro: questo terremoto che rischia di lasciarci destabilizzati, raggiungerà il suo scopo? Come produrremo entro una quindicina d’anni la valanga di elettricità che servirà per sostituire milioni di tonnellate di petrolio e miliardi di metri cubi di metano? Tutto ciò infatti ha un senso se smetteremo di bruciare idrocarburi e carbone, le principali fonti attuali di energia elettrica. Visto che di uranio non se ne parla e l’idrogeno è al di là da venire, saremo in grado di attivare una tal quantità di fonti pulite e rinnovabili tali da coprire questo gigantesco surplus? In caso contrario qual è il piano B?
Perché questa scelta che appare quantomeno avventata e molto “ideologico-mediatica”, blocca già da ora ogni evoluzione positiva dei motori termici e lo sviluppo dei biocarburanti che appariva assai promettente. È vero che nel 2026 si farà una specie di tappa intermedia per capire come sta andando la rivoluzione, ma la realtà è che sarà completamente inutile: già adesso le aziende costruttrici hanno interrotto qualunque investimento sul termico (sarebbero tanti soldi buttati via), per orientarsi tutte sull’elettrico.
È sempre il solito discorso: fare presto è cosa buona, fare bene è cosa migliore. Ed era questa la strada migliore?