Il banco di prova dell’economia
Approntare la manovra economica per il 2023 sarà un'operazione da far tremare le vene ai polsi.
Il primo banco di prova della nuova legislatura sarà senza ombra di dubbio la politica economica. Le scelte da compiere esigono un bagno di realtà con cui dovranno fare i conti tutti i partiti – dopo il festival delle illusioni in campagna elettorale – ma soprattutto quelli che comporranno la maggioranza parlamentare ed esprimeranno il nuovo governo. Il contesto che si troverà subito davanti l’esecutivo è quello descritto a livello di grandi numeri nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, la Nadef, il cui varo alla fine di settembre è stato uno degli ultimi atti della compagine guidata da Mario Draghi. Semplificando brutalmente ma non arbitrariamente il quadro che emerge dalla nota, il succo è questo: il 2022 segnerà un risultato complessivo più positivo del previsto, ma nel 2023 il contraccolpo negativo della guerra e della crisi energetica sarà ancora più forte. Accettando il valore del Prodotto interno lordo, il Pil, come indicatore dell’andamento dell’economia, la crescita sarà dello 0,6% invece che del 2,4%. Chi volesse privilegiare la bottiglia mezza piena potrebbe legittimamente sottolineare che siamo ancora in territorio positivo, sia pure per qualche decimale. E potrebbe aggiungere che il dato dei conti pubblici nell’anno in corso è relativamente confortante. Grazie alla maggiore crescita economica registrata nel 2022 e all’effetto dell’inflazione (che colpisce i bilanci familiari e i costi delle imprese, ma aumenta le entrate statali perché le imposte si pagano sui valori nominali e non su quelli reali), il nuovo governo si ritroverà un “tesoretto” di circa 10 miliardi che potrà essere speso subito senza fare nuovo deficit e un altro di pari importo che andrà in dote alla prossima legge di bilancio. Ma se si tiene presente che i sostegni attualmente previsti costano da soli 40 miliardi l’anno, appare chiaro che approntare la manovra economica per il 2023 sarà un’operazione da far tremare le vene ai polsi. Bisognerà comunque impegnarsi a tenere i conti in ordine e a rispettare gli accordi presi per il Pnrr perché un Paese ad alto debito come il nostro deve finanziarsi sui mercati internazionali per decine e decine di miliardi di euro e non può esporsi al rischio della speculazione, oltre a subire le conseguenze dell’aumento dei tassi. Certamente non ci potremmo permettere i 200 miliardi di aiuti interni decisi dalla Germania, con una mossa che sarà anche finanziariamente sostenibile per il poderoso bilancio tedesco, ma che rivela una grave miopia politica: neanche Berlino può fare da sola, per quante risorse possa mettere in campo. Quanto all’Italia, il suo bisogno di Europa è talmente evidente che soltanto gli occhiali distorcenti dell’ideologia possono misconoscerlo. Piuttosto che attardarsi in improbabili sovranismi anche economici bisognerebbe stimolare ragionamenti coraggiosi sulle strategie da perseguire. Per aiutare le persone meno abbienti che sono le più colpite dalla crisi energetica, per esempio, converrebbe tassare i redditi più elevati o le società che continuano a fare grandi profitti invece che ampliare eccessivamente il deficit: si avrebbero minori conseguenze inflazionistiche. Parola di Philip Lane, capo economista della Bce ed ex-governatore della Banca d’Irlanda. Rigore economico ed equità sociale possono ben andare d’accordo.