I ragazzi “peso”. La scrittrice Susanna Tamaro propone una riflessione sul sistema educativo italiano
La strada non è la “psichiatrizzazione” dell'infanzia e dell'adolescenza, occorre assumersi la responsabilità degli errori.
In una lunga lettera indirizzata ad una ipotetica insegnante la scrittrice Susanna Tamaro propone una riflessione sul sistema educativo italiano, rivolgendo lo sguardo alla scuola ma pure alla società più in generale. L’invito, che intende rivolgere a genitori ed educatori, è sintetizzato nel titolo stesso del libro: “Alzare lo sguardo” (editrice I Solferini, 2019).
In poco più di 120 pagine la Tamaro fa il punto sulla crisi che tutti percepiamo a livello culturale e, nello specifico, nel campo della trasmissione dei saperi.
Il primo discrimine che emerge è la differenza fra “insegnare nozioni” e “suscitare passione”. La domanda è immediata: la scuola oggi è non solo “capace”, ma soprattutto è “in grado” di appassionare i propri studenti?
La risposta non è incoraggiante ed emerge nelle pagine del libro a poco a poco.
La prima riflessione offerta riguarda i cambiamenti che hanno investito negli ultimi anni la sfera sociale. Non si tratta soltanto della tanto vituperata “svolta tecnologica” che ci ha travolti con il suo insinuarsi in maniera capillare (e a tratti devastante) nel nostro quotidiano. I cambiamenti sono da individuare nella tessitura stessa delle relazioni fra le persone, nella famiglia e anche nella percezione stessa delle emozioni e dei sentimenti fra le nuove generazioni. Nella lettera vengono tratteggiati gli elementi essenziali della cosiddetta “società complessa”.
L’educazione, dice la Tamaro, non è un fatto “astruso” da calare sulla realtà. Essa nasce proprio dai bisogni di chi la dovrebbe ricevere. Va a colmare lacune che nei tempi cambiano e mostra nervi scoperti.
Purtroppo per poter ricominciare, c’è da prendere atto di un fallimento. Il fallimento riguarda le metodologie, gli approcci e il sistema stesso. Riguarda la mancata individuazione nella scuola e nei percorsi educativi di obiettivi reali. Si lavora su obiettivi datati, per meglio dire “scaduti”.
Fatichiamo sempre ad arrenderci al tempo, è un problema molto umano. Eppure il tempo arriva e scardina certezze, rovescia scenari.
E poi oggi abbiamo il problema delle sollecitazioni. Sono molteplici, troppe… Confondono, non arricchiscono. Emerge la necessità di insegnare ai nostri giovani la capacità di discernerle e selezionare quelle davvero funzionali alla loro maturazione. Ecco una necessità assolutamente “inedita” in campo educativo. Il mare magnum delle informazioni: le verità necessarie, le verità superflue e quelle addirittura false. Questa società evidenzia un deficit pauroso di “pensiero critico”, nella scuola invece si continua a investire tutto sui contenuti e sul nozionismo.
Educare oggi significa imparare la pratica del rabdomante per cercare sorgenti laddove sembra che alberghi l’aridità e il deserto. Significa non aver timore di intraprendere un percorso conoscitivo che implichi la gestione dell’emotività della platea da formare. Sono cadute le inibizioni e sono caduti i divieti, dobbiamo prenderne atto. Ma i gruppi di giovani continuano ad avere una ricchezza emotiva con cui lavorare, anzi forse rispetto al passato sono ancora più carichi di istanze feconde.
“Creare e distruggere. L’essere umano vive sempre in bilico tra queste contrapposte realtà”, ricorda la Tamaro. Ecco la duplicità da tener presente, ecco dove “alzare lo sguardo”.
Il mondo univoco della scuola gentiliana è definitivamente tramontato. Non esiste più, inutile rimpiangerlo. Ma soprattutto occorre definitivamente affrancarsi dalla visione “ideologica” della trasmissione del sapere. Le competenze sono “pratica”, ben oltre la teoria.
I ragazzi “peso”, come li definisce la Tamaro, non sono altro che la spia di un malessere che investe l’intero sistema. La strada non è la “psichiatrizzazione” dell’infanzia e dell’adolescenza, occorre assumersi la responsabilità degli errori.
Soprattutto “alzare lo sguardo” significa rivolgere la nostra attenzione alla ricerca dell’“anima” che la scuola, e la società assieme ad essa, sta trascurando. L’anima è il respiro di un cammino che viviamo soltanto in forma parcellizzata, senza comprenderlo fino in fondo e risentendo quindi soltanto del suo peso, senza mai avvertirne la vertigine.
Il sapere sta nella vertigine, mai nel peso. Ricordiamolo.