I grandi protagonisti del Vangelo. E della letteratura. L’innalzamento degli ultimi da Gesù fino a Bernanos e oltre
Se si guarda bene, molti grandi scrittori si sono dedicati ai piccoli della terra.
“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”: questo brano di Matteo (11, 25) è solo uno dei momenti in cui il Gesù dei sinottici ricorda i “piccoli”, ma anche gli infanti (népioi), o il “più piccolo”, in greco mikròteros, nel regno dei cieli, che però è più grande di Giovanni Battista, sempre in Matteo (11,11). Sono gli esempi in cui il Cristo scavalca dotti e sapienti per rivolgersi ai poveri in spirito, agli emarginati, a quelli ritenuti folli perché diversi dalla piattezza comune, ai senza tetto e ai vagabondi, ma anche a quelli consapevoli, coloro che abbandonano il fardello della cultura fine a se stessa e di una ricchezza senza senso e scopo.
E oggi? Come potremmo interpretare quei riferimenti agli ultimi? Oggi è come ieri, perché sono cambiate, lentamente e impercettibilmente, le forme, ma il significato profondo no: in tutte le epoche ci sono stati esempi di persone che hanno abbandonato scienza, cultura, benessere, amore terreno per ricongiungersi idealmente a quei piccoli in Cristo, e la letteratura ci aiuta a riconoscerli, a patto che si comprenda come talvolta la rinuncia all’essere “grande” per ritrovare la semplicità perduta non sia immediatamente avvertita come sequela cristiana. C’è stato chi ha preferito dare a questo viaggio di ritorno verso la natura e l’essenza della vita un significato di superamento della cultura borghese, come nel caso del giovane Rimbaud che abbandona il sazio occidente per andarsene in Africa, o di Stevenson, che preferisce vivere nelle isole Samoa, dove però il suo destino si intreccerà anche con quello di uomini di fede, oltre che con quello di donne e uomini capaci di insegnare nuovi modi di intendere la vita.
Anche perché chi ha scelto di andare a vivere altrove, come Charles de Foucauld, ora beato, o santa Teresa di Calcutta, non aveva in mente solo la trasmissione della fede, ma il vivere assieme a chi si trova senza nulla, letteralmente, seguendo rigorosamente l’ammaestramento di Gesù sul fatto che “chi avrà dato solo un bicchiere di acqua fresca a uno solo di questi piccoli” non avrebbe perso la sua ricompensa. Nonostante sia difficile pensare che chi si fa piccolo con i piccoli cerchi una ricompensa, neanche in senso metaforico, o come aveva scritto il Dante del Convivio, anagogico, semplicemente perché una parte di quella ricompensa è già presente nel condividere il poco.
Se si guarda bene, molti grandi scrittori si sono dedicati ai piccoli della terra: il Manzoni che taglia i ponti con le peripezie degli eroi e delle damine per far posto a gente del popolo indifesa e per questo vessata, o il Jack London che in “Il popolo degli abissi” mette da parte le avventure esotiche e si occupa degli emarginati della Londra caput mundi di inizio ventesimo secolo, o l’Edgar Lee Masters delle madri cieche, delle morti premature, degli emarginati dalla brava gente di Spoon River. Ma come si potrebbero dimenticare il John Ruskin di “Fino all’ultimo” (1860) in cui viene attaccata la ricchezza come pura accumulazione, e difesi gli operai che in quel periodo erano sottoposti al ricatto di chi costava di meno, o il Dickens che nel “Cantico di Natale” pone di fronte il triste accumulatore e la famiglia povera in fondo invidiata dal progenitore di Paperon de’ Paperoni, o il povero vagabondo della “Leggenda del Santo Bevitore” di Joseph Roth in cui emerge la dignità – e il senso profondo – di un’esistenza misera e provvisoria? Ne avremmo per mille pagine, dal povero Rosso Malpelo di Verga, bambino sfruttato nelle miniere del profondo sud, al perdersi nel deserto e nella sua essenzialità del Piccolo Principe di Saint-Exùpery, ma anche la meno conosciuta “Canituccia” di Matilde Serao, bambina persa in una vita senza affetti in cui anche il suo unico amico, un maialino, viene sacrificato alla fame e alle tradizioni degli adulti.
Letteratura come duplice cammino, quello dei sazi verso l’essenzialità e le radici autentiche e quello dei “piccoli” sfruttati e trattati come cose verso l’unica possibilità di trovare un senso nella loro apparente sconfitta: quello di rimanere nel cuore di ognuno di noi. Fino a divenire simbolo di libertà assoluta: ricordiamoci che agli occhi di Mouchette, la inquieta e inquietante protagonista di “Sotto il sole di Satana” di Bernanos, la casa con “quel tetto cadente” è di un mendicante, “un altro uomo libero”.