I dirigenti scolastici incontrano don Marco Cagol. "Per una scuola che vuole sconfiggere la solitudine"
Incontro dei dirigenti scolastici. Don Marco Cagol, vicario episcopale per i rapporti con le istituzioni, ha proposto una riflessione sull’educare all’appartenenza alla comunità. Occhio ad alcune “tensioni” da non tralasciare.
Sabato 5 maggio nella biblioteca del Centro studi Filippo Franceschi si è svolto il consueto incontro annuale dei dirigenti scolastici con la Diocesi, promosso dall’Ufficio di pastorale dell’educazione e della scuola. A rappresentare il vescovo Claudio, impegnato nella visita pastorale, il vicario per i rapporti con le istituzioni don Marco Cagol, al quale è stato chiesto di proporre una riflessione ai presenti sull’educare all’appartenenza alla comunità e al senso che questa espressione acquista.
Don Cagol è partito dallo specifico dell’educare proprio della Chiesa, declinando questo verbo sul piano spirituale, mettendo in evidenza anzitutto la dimensione universalistica della proposta cristiana che, a partire dalla Scrittura fino al più recente Magistero, ricorda a ogni uomo l’appartenenza alla comune umanità. Da qui la riflessione ha riguardato il concetto di comunità: comunità locale o comunità globale; cittadini del proprio villaggio, della propria città, o cittadini d’Europa, cittadini del mondo? E richiamando il testo di Donatella Di Cesare Cittadini residenti. Per una filosofia della migrazione, il relatore ha ricordato come oggigiorno ci sia il rischio che qualcuno, in un contesto che sta diventando sempre più schiumoso, possa diventare o sentirsi “superfluo”.
Mettendo in luce le diverse concezioni che si possono dare al termine “appartenenza”, don Marco Cagol ne ha scelte due: l’appartenenza effettiva dalla quale scaturiscono i diritti e i doveri, l’ufficialità si potrebbe dire, dall’altra quella affettiva che mette in movimento la dinamica del “mi sta a cuore”, del “mi interessa”: proprio su questa duplice lettura, non l’una senza l’altra, dovrebbe insistere l’impegno della scuola, unitamente a quello degli altri soggetti impegnati nell’educare, affinché il giovane possa crescere consapevole delle proprie radici, ma anche aperto a spalancare i propri rami sull’orizzonte del mondo. Su questo aspetto ha richiamato le considerazioni contenute nel discorso che l’allora cardinale Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, rivolse ai suoi connazionali in occasione dei duecento anni della nazione argentina, discorso che potrebbe riassumersi nell’idea: non c’è identità senza appartenenza.
Nell’educare, non possono mai essere tralasciate alcune tensioni forti: quella tra la pienezza e il limite; aiutare i giovani a fare i conti con il proprio limite, con misericordia e pazienza, significa sconfiggere l’ideologia della prevaricazione; tra l’idea e la realtà: dove ci si impegna a far prevalere la seconda sulla prima, contro ogni forma di nominalismo e di ideologia, perché come ricordava proprio il card. Bergoglio, «il nominalismo seduce ma non convoca», non crea comunità. Infine, tra il locale e il globale: il locale nel quale siamo radicati non può significare che noi siamo il centro, ma in uno sguardo d’insieme che abbraccia il globale dovrebbe aiutarci a considerarci un lato di un poliedro che si può guardare da diversi punti di vista, e porta a cogliere interrelazioni, per cui non siamo l’unico centro, ma siamo uno dei tanti snodi di una fitta rete. Infine don Marco Cagol, richiamando un recente editoriale del Corriere della Sera a firma di Mauro Magatti dal titolo “La solitudine globale”, ha invitato gli educatori a riflettere su come oggi ci sia il rischio di diventare sempre più individui, soli e disancorati.
Se costituisce un problema la solitudine degli anziani, lo è ancor più quella dei giovani: «Se sei solo hai paura e allora cerchi l’uomo forte che ti protegga o una rete digitale dentro alla quale sentirti connesso, senza però esserlo». Qualche dirigente ha ricordato come anche nella scuola ci si possa sentire soli: Giovanni Battista Zannoni e Michele Visentin, dirigenti di scuola statale e di scuola paritaria, hanno tentato di rispondere a questa osservazione, presentando il lavoro svolto in questi mesi dalla Fondazione Bortignon per l’educazione e la scuola, a partire dalla due giorni dedicata al tema “Batte ancora il cuore della scuola?”. Dai loro interventi e da quanto emerso dall’instant book consegnato ai presenti, è apparso evidente che non bastano le proposte e i propositi ma occorre la volontà di realizzarli e portarli a termine. E che la scuola è proprio il luogo per ricreare comunità.
Una mattinata di respiro ampio chiusa dai saluti del dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Padova e Rovigo Roberto Natale, e dall’invito di don Lorenzo Celi ai presenti di considerarsi, in quanto attori nella scuola, dei “privilegiati” perché ancora ci è data l’opportunità di costruire futuro con i nostri alunni, sin da bambini, educandoli a uno sguardo sul mondo capace di contemperare mente, cuore e mani.
Monica Schiavo
istituto comprensivo di Due Carrare
Rimatura sugli esami di Stato: la busta e basta
Dice allora il Ministero che l’esame, quel di Stato, è sicuro è già impostato, finalmente più aggiornato ma che nuovo o rinnovato, quante volte è già cambiato dice il bronzo di Riace: «Resta nuovo ciò che piace»; piace, ad ora, a chi non tace, conformarsi a chi compiace. Tutti gli altri son sospesi e all’esame son due mesi: prima prova ci sarà, la seconda seguirà niente invece, sia banditta, ogni terza prova scritta. Non c’è errore, niente male, è licenza poeticale, introdotta, so che vale, per far rima con l’orale; qui la cosa è un po’ più incerta, ma una busta sarà aperta: busta uno, due o tre, sarà quel che piace a te sarai tu, l’esaminato, a pescare il tuo pescato material che, se saprai, con i prof discuterai dirai infine che farai, poi saluti e te ne vai. Ma no, ma sai, ma dai… ma gli esami… non dovevan finir mai?
Giacomo Bevilacqua