Gli immigrati che costruiscono
Un’indagine su “La mappa dell’imprenditorialità immigrata in Italia”, svolta dal Censis e dall’Università di Roma Tre per l’Inail, ha il merito di mettere in luce pregi e nodi problematici
Il contributo dei cittadini stranieri allo sviluppo economico del nostro territorio assume una consistenza importante. La loro presenza a guida di piccole imprese, uno dei settori per tradizione più dinamici del nostro tessuto produttivo, è in continua crescita. Sarebbe importante mettere a tema delle questioni migratorie il processo di integrazione, perché è sempre meglio governare fenomeni che assistere con inerzia al loro svolgersi. Le piccole imprese, che sono in crisi, animano il territorio, incidono sulla qualità dei legami della comunità locale.
Un’indagine su “La mappa dell’imprenditorialità immigrata in Italia”, svolta dal Censis e dall’Università di Roma Tre per l’Inail, ha il merito di mettere in luce pregi e nodi problematici.
Immediatamente appare la vitalità delle aziende, guidate da cittadini non italiani, che sono oltre 447mila: il 14,6% sul totale dei titolari d’impresa. Le attività coprono diversi comparti dai servizi – i più numerosi – all’artigianato e la manifattura, fino all’agricoltura. Negli ultimi 10 anni, in controtendenza rispetto agli imprenditori italiani, il loro numero è aumentato del 31,7%, e quello degli extra-comunitari ha avuto un incremento anche maggiore arrivando al 37,8%. Questi immigrati investono e costruiscono in Italia, affrontando le stesse difficoltà burocratiche e amministrative degli italiani, oltre quelle relative alla loro diversa nazionalità.
Dall’indagine poi emerge la conferma della differente distribuzione dei talenti, all’interno delle varie etnie: imprenditori rumeni e albanesi si collocano soprattutto nel settore delle costruzioni, cinesi e indiani nella ristorazione e nell’alloggio, marocchini e i bangladesi nel commercio. Sarebbe importante valorizzare all’interno dei settori le competenze, lasciarsi contaminare da approcci diversi potrebbe innestare un processo generativo per l’economia del territorio.
Ci sono, però, alcune note dolenti che emergono: innanzitutto la difficoltà dell’integrazione.
Un’ampia quota di imprenditori stranieri non conosce bene l’italiano: nella ricerca solo il 48,8% degli intervistati afferma di avere un buon livello di comprensione della lingua. Per apprenderla solo il 29,6% ha frequentato corsi. Inoltre il 44,9% afferma di frequentare solo altri stranieri. Questi elementi ci portano a rilevare il pericolo di isolamento, che influenza la scarsa comprensione della cultura e della società italiana. Problema che apre alla seconda nota dolente rilevata: la difficoltà di capire le norme legate alla salute e alla sicurezza sul lavoro. La provenienza da un contesto differente rende incomprensibile capire le ragioni di utilizzare scarpe antinfortunistica o la motivazione a sospendere l’attività per mangiare. “Tanto sto attento” è una precauzione che, almeno in teoria, nel nostro paese è stata superata da altre più efficaci.