Giustizia minorile, oltre 1100 ragazzi in comunità di accoglienza
Rapporto Antigone. Al 15 gennaio 2020 sono 1104. La loro presenza è quasi raddoppiata negli ultimi 10 anni, rendendo il sistema delle comunità un asse portante del sistema della giustizia minorile nel nostro paese
ROMA - Solo nel primo semestre del 2019 sono stati 2.382 i provvedimenti di messa alla prova ex art.28 D.P.R.448/88, 3.653 in tutto il 2018. E’ quanto emerge dal rapporto sugli istituti penali per minorenni “Guarire i ciliegi” di Antigone.
L’istituto non rappresenta solo una alternativa al carcere, ma allo stesso processo, che viene sospeso durante la misura. Se la messa alla prova avrà buon esito, alla sua conclusione il reato verrà dichiarato estinto. In quasi tutti i casi la misura richiede “attività di volontariato e socialmente utili”, mentre in circa la metà dei casi si prevedono anche “attività di studio”.
Circa un quarto dei ragazzi sono inviati in comunità. La maggior parte delle misure, il 60%, ha una durata compresa tra sette e dodici mesi, mentre il 33% hanno una durata compresa tra uno e sei mesi. Quelle che durano oltre l’anno sono residuali. Quanto all’esito delle misure, il bilancio è ampiamente positivo. I dati più recenti, relativi al 2018, sono decisamente confortanti: gli esiti delle misure sono stati positivi nell’82,8% dei casi. La maggior parte dei ragazzi arriva in istituto dalle comunità di accoglienza. E’ sempre verso le comunità che è diretta quasi la metà delle persone che escono. Solo il 10,3% dei ragazzi che escono dagli istituti esce perché ha finito di scontarvi la propria pena; l’11’8% esce per essere trasferito verso strutture per adulti, perché superato il limite di età per restare nel sistema della giustizia minorile, per volontà propria (una volta oltrepassati i 21 anni) o per via una di una refrattarietà alla vita interna dell'istituto. E d’altronde, se al 15 gennaio 2020 i ragazzi in istituto erano 375, nello stesso giorno i ragazzi in comunità erano 1.104.
Questi 1.104 ragazzi sono inseriti nel sistema nazionale delle comunità di accoglienza, che ospita nel suo complesso circa 20.000 ragazzi, dei quali dunque quelli provenienti dall’area penale sono una piccola minoranza. La loro presenza è però quasi raddoppiata negli ultimi 10 anni, e questi numeri hanno fatto del sistema delle comunità un asse portante del sistema della giustizia minorile nel nostro paese. La maggioranza dei ragazzi entra in comunità in misura cautelare. Un gruppo più ristretto era in comunità provenendo dagli istituti. Circa il 20% del totale dei ragazzi che entra in comunità lo fa nell’ambito di un progetto di messa alla prova.
Nelle carceri minorili la prassi è andata negli anni senz’altro più veloce della legge. Molte delle disposizioni che troviamo nel decreto del 2018 le vedevamo applicate con naturalezza già da molto tempo. Ad esempio le norme sul piano individuale di trattamento, sull’informazione relativa alla vita interna, sull’ampliamento dell’accesso a colloqui e telefonate e sulla separazione dei minorenni dai giovani adulti erano già ampiamente applicate prima del 2018. Più ritrosie sono state riscontrate per quanto riguarda: l’innalzamento da due a quattro delle ore minime giornaliere da trascorrere all’aperto (in quanto non viene tracciata una distinzione chiara tra la permanenza all’aria aperta e la permanenza fuori dalla cella, che invece è ampiamente assicurata), la frequenza di scuole e corsi di formazione fuori dal carcere, il riconoscimento del diritto alla sessualità (vi è una interpretazione restrittiva della riforma).
Alessandra Brandoni