Giubileo 2025. Gli studenti del Kennedy di Pordenone in visita al carcere cittadino
Il desiderio di riscatto, la volontà di cambiare, la speranza di costruirsi una vita migliore. Rimane questo nel cuore degli studenti dell'Itst Kennedy di Pordenone dopo la visita al carcere cittadino alla vigilia dell'apertura del Giubileo. Una profonda esperienza umana e civile perché, incontrando i detenuti, i ragazzi hanno compreso il valore della libertà, del perdono, del riflettere prima di agire. Ed anche del non giudicare una persona senza conoscerne la vita. "Il carcere - dice uno di loro - non è un mondo ‘altro’, ma è parte integrante della nostra società, con le sue sfide e la sua umanità”
Alla vigilia dell’apertura della Porta santa a Rebibbia lo scorso 26 dicembre da parte di Papa Francesco, la 5a B Meccanici dell’Istituto tecnico settore tecnologico J.F. Kennedy di Pordenone si è recata nel carcere cittadino. A promuovere l’iniziativa in occasione dell’Anno Santo, l’insegnante di religione Roberto Marinaccio per mettere in contatto i ragazzi con le realtà meno conosciute del territorio. Qualcuno di loro ignorava perfino l’esistenza dell’istituto di pena. “Non sapevo– ammette Jacopo – che in città ci fosse un carcere e l’idea che avevo di un luogo simile era molto diversa da ciò che ho visto. La struttura è piccola ma accogliente e, a differenza di come viene rappresentata nei film o nelle serie tv, si percepisce un’atmosfera più umana e vivibile”.
A raccontare l’esperienza giubilare al Sir è Silvio Ornella, docente di lettere al Kennedy. “La Casa circondariale – spiega – è sembrata ai ragazzi un istituto di pena a conduzione familiare, grazie alla rete competente e sensibile che sostiene i detenuti e che va dalla Direzione, al supporto psicopedagogico, al sostegno morale di un prete di lunga esperienza come Piergiorgio Rigolo e alla correttezza degli agenti penitenzi”. “Appena varcato l’ingresso – ricorda Daniele -, ho avvertito
un senso di oppressione: il silenzio e l’austerità dell’ambiente mi hanno fatto capire immediatamente il peso del luogo”.
Ma una volta entrati, il carcere di Pordenone stupisce e commuove: “i muri – rammenta Riccardo – sono colorati e su di essi sono raffigurati prati verdi con fiori colorati; questo forse serve ai detenuti per immaginare la libertà”. Intenso l’incontro con i detenuti nella sala in cui si tengono i corsi di musica.
Le domande preparate insieme al docente rompono il ghiaccio. “I detenuti – racconta ancora Daniele – hanno condiviso riflessioni toccanti sulla loro esperienza: la rabbia iniziale, la speranza di uscire, la rassegnazione e, infine, l’accettazione della loro condizione”. A colpire i ragazzi la sincerità con cui hanno parlato dei propri errori e
l’appassionato invito da “fratelli maggiori” a riflettere prima di agire, perché “basta un istante per uscire dalla legalità e dalla vita da liberi”.
Alla domanda su cosa farebbero se potessero uscire subito la risposta è unanime: “Rivedrei i familiari”. “Mi sono profondamente commosso – annota Daniele – quando ho visto due di loro emozionarsi parlando del legame con i propri cari”. “Molti di loro – aggiunge Leonardo – erano visibilmente commossi mentre parlavano con noi perché in qualche modo ricordavamo loro i parenti più cari: fratelli, cugini, figli o nipoti.
Abbiamo scoperto che, anche se detenuti, possono avere un cuore pure migliore del nostro, e sentirli parlare ci ha fatto riflettere su quanto sia facile giudicare una persona senza conoscere la sua vita e le sue motivazioni”.
Al dialogo hanno partecipato anche gli agenti penitenziari e Michele rimarca “il clima di armonia che sembra esistere tra detenuti e agenti… Mi aspettavo rapporti più tesi e conflittuali, ma ho percepito un’atmosfera di rispetto reciproco che contribuisce a rendere la convivenza più umana e tollerabile”. Il carcere, prosegue, “è certamente un luogo di punizione, ma può anche essere uno spazio di riflessione e crescita, sia per chi lo vive dall’interno sia per chi come noi lo osserva dall’esterno”. “Attraverso le loro parole – sottolinea Matteo – ho percepito il peso degli errori commessi e l’impatto che questi hanno avuto sulle loro vite, ma anche
il loro desiderio di riscatto, la volontà di cambiare e la speranza di poter ricostruire una vita diversa e migliore”.
Ma i ragazzi hanno compreso anche l’eccezionalità di questa realtà carceraria. “Il carcere di Pordenone – rileva Davide – non è molto grande, quindi la rieducazione ed il recupero delle persone può avvenire con relativa facilità. Le guardie carcerarie ci hanno spiegato che in Italia esistono carceri con più di 800 detenuti e che quindi il recupero della persona non viene posto in primo piano, come invece dovrebbe essere”.
Forse l’insegnamento più incisivo è stato il valore inestimabile della libertà su cui tutti i detenuti hanno insistito. “La libertà – dice Riccardo – è la cosa più importante che abbiamo e, testa sulle spalle, dobbiamo essere consapevoli delle nostre decisioni perché nessuno ci obbliga ad intraprendere una brutta strada; siamo noi che lo facciamo”. E Michele aggiunge: “Quello che mi ha lasciato questa esperienza è che la libertà non ha prezzo, e che si può perderla in un attimo. Bisogna essere sempre rispettosi di sé stessi, ma soprattutto degli altri, perché prima di pretendere rispetto, bisogna darlo”.
“La visita al carcere mi ha permesso di riflettere sull’importanza del perdono, sulla possibilità di cambiamento e sul ruolo di noi giovani nella società”,
annota Marco. “Abbiamo la responsabilità – prosegue – di contribuire ad un cambiamento culturale che possa ridurre il numero di persone che arrivano a vivere queste esperienze”. Daniele mette in luce la valenza didattica, ma prima ancora umana e civile, dell’esperienza: “Promuovendo queste iniziative la scuola offre un’opportunità unica per educare alla riflessione, all’empatia e alla responsabilità sociale. Esperienze di questo tipo dovrebbero essere incoraggiate e moltiplicate perché