Fiducia nel futuro, gli agricoltori ne hanno meno di prima. Il clima del settore è fortemente mutato a causa di una “tempesta perfetta”
Il crollo della fiducia nel futuro è da attribuirsi all’aumento esorbitante dei costi delle materie prime e dell’energia e non all’andamento del fatturato.
Gli agricoltori non hanno più fiducia nel futuro. Il dato è certamente forte, e va spiegato, ma indica quanto, in pochi mesi, il clima imprenditoriale sia cambiato e in peggio. Segno dei tempi, si potrebbe dire. Ma segno che va contrastato oltre che analizzato.
A dare la sintesi della situazione è stato qualche giorno fa l’Ismea nel suo consueto rapporto su “I costi correnti di produzione dell’agricoltura: dinamiche di breve e lungo termine, effetti degli aumenti dei costi e prospettive per le imprese della filiera” che contiene un indice sintetico che mostra, appunto, il grado di fiducia che le imprese del comparto agroalimentare mostrano di avere. Un indicatore statistico che, quindi, necessita di tutte le precisazioni del caso, ma che è valido per fornire il tratto caratteristico del comparto.
E, dunque, dall’ultima edizione del rapporto, emerge come ad esprimere maggiori preoccupazioni siano soprattutto le imprese del settore primario cioè dell’agricoltura. Per questo raggruppamento, l’indicatore che misura il sentiment (cioè il “sentire”) delle aziende sintetizzando i giudizi su affari correnti e prospettive a breve termine “ha registrato – spiega una nota -, una brusca riduzione, scendendo addirittura sotto i livelli dei primi due trimestri del 2020, corrispondenti all’esordio del Covid e alla fase più acuta dell’emergenza pandemica. L’indice di fiducia ha interrotto il progressivo e rilevante recupero messo in atto nel 2021, posizionandosi mediamente su un valore di -10,6 (in una scala di valori tra +100 e -100), con punte particolarmente negative per la zootecnia da carne (-25,3) e da latte ( -13,7). Ma anche per le colture di pieno campo, come i seminativi, la fiducia si colloca su valori inferiori alla media, mostrando un crollo rispetto al trimestre precedente, inferiore per intensità solo a quello registrato dalla zootecnia da carne. Solo le imprese della vitivinicoltura e della filiera del legno riescono a tenere i livelli di fiducia precedenti.
Al di là del dato numerico e della causa generale di questo – la guerra e le sue conseguenze -, è importante l’analisi più puntuale effettuata proprio da Ismea. Una disamina che serve per capire meglio la situazione e, soprattutto, cosa potrebbe accadere da qui in avanti.
In generale, quindi, il crollo della fiducia nel futuro è da attribuirsi all’aumento esorbitante dei costi delle materie prime e dell’energia e non all’andamento del fatturato. Anzi, spiega l’Ismea, “per i due terzi delle imprese il fatturato nel periodo gennaio-marzo 2022 non risulta peggiorato, anche se il confronto avviene con il primo trimestre del 2021 contrassegnato dalle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria del Covid-19”. Mentre la “stragrande maggioranza delle imprese agricole intervistate sostiene di aver incontrato delle difficoltà nella gestione dell’attività aziendale negli ultimi tre mesi a causa prevalentemente dell’aumento dei costi correnti, ma anche delle condizioni meteo avverse, di problemi per la ricerca di personale e difficoltà nel reperimento di materie prime, in particolare fertilizzanti, imballaggi e materiali di consumo”. Non solo guerra, quindi, ma anche condizioni e andamento climatico hanno contribuito, tutti insieme, a generare quella che molti osservatori hanno già definito una “tempesta perfetta” che si è abbattuta sui campi e sulle stalle italiane. E bastano pochi numeri per capire meglio.
L’aumento dei costi correnti, stando sempre al rapporto, ha pesato sull’80% delle aziende zootecniche da latte intervistate, il 74% di quelle zootecniche da carne e altrettanto per i produttori di uova e miele, mentre quasi la totalità del campione (91%) ha dichiarato di aver subito un aumento delle spese totali per l’acquisto dei mezzi di produzione. A pesare è stata soprattutto la bolletta energetica, seguita dal gasolio, fertilizzanti e mangimi.
Una condizione di fronte alla quale gli agricoltori non sono certo rimasti a guardare. Radicali cambi delle scelte gestionali, l’ottimizzazione dell’uso di alcune materie prime, il cambio delle razioni alimentari per gli animali, un forte riesame degli approvvigionamenti energetici, sono state tutte mosse che le imprese hanno messo in atto. Molto meno, invece, si è realizzato il trasferimento dei maggiori costi a valle delle imprese e cioè lungo il percorso che porta gli alimenti sulle nostre tavole.
Si tratta, come è evidente, di una situazione che pare destinata a persistere, essendo determinata non solo dalla guerra ma anche dai cambiamenti climatici. Ed è quindi qualcosa con cui le imprese agricole italiane (e non solo quelle) saranno obbligate a fare i conti per molto tempo.