False notizie, cattivi alimenti. Il buon agroalimentare italiano deve sempre fare i conti con la concorrenza sleale
Secondo l’indagine tra marzo e settembre 2020 le fake news diffuse sui diversi strumenti social presenti nella Rete sono aumentate del 33% rispetto ai mesi precedenti.
Non solo falsi prodotti ma anche false notizie. L’agroalimentare italiano non smette di farsi nemici in tutto il mondo. Sostenuti dalla loro ineguagliabile qualità e varietà, i prodotti del Bel Paese collezionano successi, ma sono anche sottoposti ad attacchi della concorrenza (sleale) che non fanno altro che dimostrare gli alti livelli produttivi raggiunti dai nostri produttori. Conoscere “il nemico” e tutti i suoi mezzi, è però fondamentale per far bene nei mercati. E, d’altra parte, saper distinguere le informazioni adeguate e corrette da quelle false e scorrette, è importante per chiunque (anche per i consumatori). Tutto tenendo conto che anche dall’informazione e delle notizie trasparenti passa la creazione di un mercato equilibrato oltre che la salute di tutti noi.
False notizie dunque – fake news per dirla in altro modo -, che paiono aumentate a dismisura proprio in questi ultimi tempi. E’ quanto si deduce dai una ricerca condotta dall’agenzia di comunicazione Klaus Davi & Co e riproposta dal “Fatto alimentare”. Secondo l’indagine tra marzo e settembre 2020 le fake news diffuse sui diversi strumenti social presenti nella Rete sono aumentate del 33% rispetto ai mesi precedenti. Ad essere presi di mira sono ovviamente i migliori e più noti prodotti agroalimentari dello Stivale. La crescita maggiore di false notizie è stata registrata per i formaggi (+33%), i vini (+23%), la pasta (+37%), l’olio (+26%), il pane (+18%) e i dolci (+31%). E a leggerne alcune, di queste fake news, c’è davvero materiale per una raccolta che potrebbe essere semplicemente di barzellette se non avesse importanti risvolti economici e sulla salute. Così, contro il Parmigiano reggiano, viene detto che il latte dal quale si ottiene arriva da vacche che non avendo accesso ai pascoli sono “depresse”. In rete si trova anche l’affermazione che “il Caciocavallo può creare dipendenza come una droga”, e che “la mozzarella di bufala ha un alto contenuto di colesterolo”. Sempre sui formaggi, poi, viene spiegato che il Castelmagno (uno dei principi dei formaggi nazionali) provoca l’osteoporosi e che la Ricotta Romana “non facilita il sonno”. L’indagine, poi, ha sottolineato che ad essere più colpiti da queste false notizia pare siano i giovani (che probabilmente frequentano di più proprio gli strumenti di comunicazione attraverso i quali queste informazioni distorte passano).
Al di là degli esempi e dei numeri, tuttavia, rimane il dato di fondo: l’estrema delicatezza del mercato agroalimentare, l’importanza di una corretta informazione, la necessità di esercitare una grande attenzione. Questione economica, s’è detto, oltre che di salute. Per quanto riguarda il primo aspetto, basta ricordare che, stando a quanto ancora pochi giorni fa ha sottolineato Coldiretti, le esportazioni agroalimentari italiane hanno raggiunto il traguardo dei 46 miliardi di euro ma che il giro d’affari dei falsi prodotti e della false notizie, arriva a importi ben più alti. Circa la salute di tutti noi, basta rendersi conto degli effetti sul nostro organismo di un’alimentazione squilibrata e composta da quello che viene indicato come “cibo-spazzatura” magari spacciato come buon prodotto italiano.
Quindi che fare? I coltivatori diretti e tutti i buoni componenti della filiera agroalimentare e agroindustriale italiana hanno una sola ricetta: controlli sempre più severi ed etichette sempre più chiare. Ed è in effetti quello che serve. Il problema è che se per il primo aspetto l’Italia è certamente all’avanguardia, per il secondo dobbiamo fare i conti con un’Unione europea nella quale molto spazio ha chi preferirebbe etichette magari più semplici ma ingannevoli.