Elisabetta Corà è tornata dalla missione in Etiopia. «Vissuto da condividere con la mia Chiesa di Padova»

Elisabetta Corà ha concluso, dopo tre anni, il suo impegno come fidei donum in Etiopia, nella prefettura apostolica di Robe. La sua presenza di laica, come quella di Ilaria Scocco arrivata da pochi mesi, è stata un’importante testimonianza per le comunità incontrate

Elisabetta Corà è tornata dalla missione in Etiopia. «Vissuto da condividere con la mia Chiesa di Padova»

«Il corpo è arrivato, ma il cuore è ancora in Etiopia». Sono le prime settimane in Italia per Elisabetta Corà di Asiago. La ventottenne ha trascorso gli ultimi tre anni della sua vita come missionaria fidei donum della Diocesi di Padova presso la prefettura apostolica di Robe. Con lei don Stefano Ferraretto, don Nicola De Guio e, negli ultimi mesi, Ilaria Scocco, altra laica fidei donum. E la laicità, in questo caso, fa la differenza: «Sarei contenta – racconta Elisabetta – che la mia testimonianza di missionaria laica portasse giovani e famiglie ad adoperarsi per la missione. Abbiamo infatti mostrato alle comunità qual è ruolo dei laici. Quando eravamo appena arrivati in Etiopia, ho tenuto un incontro in parrocchia con i giovani. Erano presenti anche don Nicola e don Stefano, ma lo stavo tenendo io. Al termine, un giovane mi ha detto: “Se l’hai fatto tu, vuol dire che posso farlo anche io”. In Etiopia, infatti, è molto forte il senso di autorità, è sempre solo l’abbà, il padre a guidare gli incontri. Questa testimonianza di stile può motivare molte più persone». In questi giorni – per la precisione, dal 18 al 24 luglio – il vescovo Claudio visiterà la missione in Etiopia, in un fitto programma di incontri così strutturato: lunedì 18 sarà ad Addis Abeba, dove avrà modo di incontrare mons. Antoine Camilleri, nunzio in Etiopia e Gibuti; martedì 19 visiterà la comunità di Kofele e arriverà ad Adaba; mercoledì 20 incontrerà i missionari ad Adaba e visiterà la comunità di Dodola; giovedì 21 il vescovo Claudio incontrerà a Robe i missionari di Villaregia, mentre venerdì 22 celebrerà la messa presso le suore di Madre Teresa in Goba e incontrerà padre Angelo Antolini, prefetto apostolico di Robe. Sabato 23 luglio il vescovo Claudio sarà a Kokossa per un momento di sintesi con i missionari. Infine, domenica 24, visiterà i padri della Consolata di Addis Abeba per il ricordo di padre Paolo Angheben.

Ma quale missione incontrerà il vescovo Claudio? «Troverà una missione di piccole comunità cristiane assistite da una bella squadra di equipe missionarie non solo di Padova – racconta Corà – Troverà una cultura etiope votata all’accoglienza e alla festa, desiderose di condividere tutto con lui».

Lo stile di collaborazione tra religiosi e laici vissuto dai fidei donum padovani ha funzionato perché dotato di radici profonde: «La forza è stata quella di fare comunità tra noi e annunciare questa comunità alle persone. Tutto è stato condiviso: le scelte, i passi da fare, le fatiche». L’essere, ancora una volta, si è mostrato più importante del semplice “fare”: «Certamente avevamo progetti concreti e strutture da gestire, ma ciò che ha davvero fatto la differenza è stato esserci con le persone, entrare nei loro ritmi e nelle giornate, visitare le famiglie, condividere le difficoltà. A volte ci chiedevano aiuto, ma capivi che davvero l’aiuto più importante era il semplice stare insieme».

Entrare nella loro vita ha significato anche entrare in un sistema di pensiero, codificato dalle leggi linguistiche: «Imparare una lingua significa capire come la gente pensa. L’oromo è una lingua molto concreta, molto semplice, che non ha la moltitudine di parole che possiedono altre lingue. Annunciare il Vangelo della domenica e i piccoli passi della scrittura in oromo ci ha costretto ad andare al cuore di ciò che diceva la Parola di Dio». Un modo per andare al cuore della realtà: «Guardare al mondo come fanno le comunità della prefettura apostolica di Robe che ho incontrato cambia le tue priorità, ti permette di riscoprire la bellezza delle relazioni e quanto siano molto più importanti di tanto altro. Ora spero di poter condividere tutto questo anche con la mia Chiesa di Padova, con il desiderio di assumerlo come stile di vita».

E se la Chiesa di Padova è appena entrata nel suo Sinodo, la prefettura di Robe è reduce dal suo, terminato a gennaio: «Per loro era il primo. Le persone sono state libere di condividere, di esprimere desideri, di conoscere davvero cosa significa essere cattolici ed annunciare». Un confronto aperto: «Non hanno avuto paura di dare la propria opinione o di rischiare cose nuove. Penso che anche la nostra Chiesa deve riscoprire il coraggio di rischiare: come missionari abbiamo riflettuto sulla bellezza di sognare insieme con le proprie comunità e di aprire nuovi orizzonti». Chiese con antica tradizione e Chiese più “giovani” unite dalle domande del presente e dai progetti del futuro: «Lo stile della missione – conclude Elisabetta Corà – è quello di non pretendere di dare subito delle risposte, ma di stare dentro alle domande, lasciando che le risposte arrivino nel camminare insieme». E dunque, anche il Sinodo «non deve tanto dare risposte, quanto aiutare le persone a stare dentro le domande. Camminando insieme si apriranno questi nuovi orizzonti».

Il vescovo Claudio sarà in Etiopia dal 18 al 24 luglio
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Nuovo viaggio in terra di missione per il vescovo Claudio, che sarà in Etiopia da lunedì 18 a domenica 24 luglio. In programma ci sono numerosi incontri con le varie comunità missionarie presenti nel Paese e nella prefettura apostolica di Robe, sede della missione diocesana. Incontrerà tra gli altri il nunzio mons. Antoine Camilleri e il prefetto apostolico padre Angelo Antolini.

Addio previsto, ma non meno difficile
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A fine maggio è arrivato il tempo di tornare a casa per Elisabetta Corà, missionaria fidei donum della Chiesa di Padova nella prefettura apostolica di Robe, in Etiopia. Un addio previsto, ma non per questo meno difficile: «Dover dire alle comunità che sarei rientrata è stata una delle fatiche più grandi, sia perché avevano già visto andare via missionari, sia perché quando costruisci relazioni e rinsaldi legami salutarsi diventa faticoso. È stato però anche un passo bello,
perché ha permesso di raccogliere in parte, nella gratitudine e nell’affetto, ciò che il Signore ha seminato e noi abbiamo avuto la grazia di coltivare».

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