Ecuador. Elisabettine. È ricchezza sognare, pensare, vivere la missione insieme
Missione in Ecuador. Elisabettine. Operare a fianco delle congregazioni religiose è una scelta vincente, come testimonia una fertile collaborazione
Non solamente il primo invio di un prete padovano in Ecuador è nato all’insegna di una fertile collaborazione, ma tutto il cammino della Diocesi di Padova nel Paese si è svolto all’ombra di uno stretto connubio con congregazioni religiose maschili e femminili. Tra tutte, spicca l’intesa con le suore terziarie francescane Elisabettine di Padova che hanno condiviso nel profondo i progetti padovani e hanno vissuto fianco a fianco, fin dalla fase progettuale, arricchendo poi il momento operativo con la loro specificità di donne e di consacrate. Soprattutto durante il governo della madre generale Bernardetta Guglielmo, tra il 1969 e il 1987, hanno dato un forte impulso al loro impegno missionario aprendo comunità in Argentina, Kenya, Israele, Sudan e, per l’appunto, Ecuador.
Le Elisabettine sono arrivate in Ecuador il 25 gennaio 1979 quando, su invito dell’allora vicario apostolico di Esmeraldas, il comboniano mons. Enrico Bartolucci, tre religiose – suor Pierassunta Ivan e le padovane Carla Buso e Idagrazia Biasion – sono giunte a Tachina, parrocchia in cui operava dal 1974 don Giovanni Cillo. L’anno prima era venuta “in esplorazione” la madre generale e la parrocchia si era preparata ad accoglierle costruendo per loro una casa, alla cui realizzazione aveva contribuito generosamente la popolazione con “mingas”, prestazioni di lavoro gratuito, e forniture di legname. Le suore furono impegnate nella pastorale parrocchiale (gruppi di barrio, preparazione ai sacramenti, assistenza agli infermi, animazione dei gruppi giovanili e soprattutto una presenza costante tra la gente con visite quotidiane alle famiglie) e nelle missioni “al campo”. Andavano a visitare periodicamente i recintos, piccole comunità di mezzadri sparse nella foresta o nelle piantagioni di caffè a cui si arriva solo dopo tre-quattro ore di cammino, con relativa difficoltà per i malati di accedere alle cure e per i ragazzi di frequentare la scuola. «A Tachina – racconta suor Francesca Violato, che ha operato a lungo in Ecuador, a Tachina, e poi a Carapungo, alla periferia di Quito, e a Duran, sulla costa meridionale – i recintos erano 22. Noi suore ci siamo impegnate a fondo nella pastorale di queste “periferie della periferia”, sulle tracce di quanto avevano fatto i preti padovani che ci hanno preceduto. E accanto a sacerdoti e laici padovani mi sono trovata a operare poi a Duran, nella decina di recintos sparsi alcuni sulle rive del fiume Babahoyo, abitati da coltivatori di riso o da pescatori che stanno fuori nel Pacifico tutta la settimana. A Duran c’erano recintos dimenticati da sempre, che non avevano mai visto la presenza di un sacerdote o di una religiosa: si andava in visita settimanale facendo catechesi ai bambini e anche agli adulti, con il proposito di formare catechisti locali, portando aiuti, facendo pastorale con le donne».
Preti, suore, laici, inviati dalla stessa Chiesa: «Questo ci dava forza quando lavoravamo gomito a gomito e anche quando progettavamo, in un numero interminabile di riunioni. Riuscire a sognare, pensare, vivere la missione insieme è una grande ricchezza. E questa non passerà, anche quando i preti padovani non ci saranno più perché ormai siamo in cordata: c’è chi rientra ma chi rimane non resta solo».
Le Elisabettine in Ecuador hanno anticipato la presenza dei fidei donum padovani nella periferia nord di Quito: nel maggio del 1981 la congregazione, con l’approvazione del cardinale Paolo Muñoz Vega, si insediò a Carcelen dove le suore iniziarono a creare la comunità risiedendo in una casa in affitto. Insieme alla gente costruirono anche la chiesa e alla gente è rimasta impressa la figura di suor Carla Buso che lavora con la carriola a fianco dei muratori. Nel 1988 dal territorio di Carcelen è stata ritagliata la parrocchia di Carapungo e il vescovo Franceschi chiese all’allora generale una comunità di suore che lavorassero con i fidei donum. Qui nel 2000 ha preso avvio il progetto “Pachamama” che impegna le donne in un percorso di autonomia economica attraverso l’agricoltura biologica.
I ricordi del vescovo mons. Spiller
Mons. Massimiliano Spiller, il vescovo che chiese l’invio di preti padovani nel Napo, ha scritto una storia della missione dal 1922 al 1974, per buona parte frutto di ricordi personali, in cui cita più volte don Vincenzo Barison: «Nel 1962 – scrive – padre Barison fu il primo missionario fisso di Arajuno, dove intraprese un lavoro estenuante e di molto sacrificio perché era in mezzo alla giungla (occorrevano due giorni di viaggio in canoa o dieci ore di cammino da Puerto Napo per un sentiero impervio), in un luogo isolato e privo di mezzi di comunicazione, tormentato da insetti implacabili e sopraffatto da un caldo inclemente. Lui stesso si costruì la sua casa con pareti di legno e tetto di lamiera».