Economia. La difficoltà del compromesso. Che ne sarà di bilancio, Iva, lavoro?
Tanti gli interrogativi che fa sorgere il cambio di governo che stiamo vivendo in queste ore, soprattutto per la scarsa omogeneità tra le visioni delle due forze politiche alleate.
E adesso, che succederà? Ci sarà un cambio di passo nella gestione pubblica dell’economia? Che fine faranno quota 100 e reddito di cittadinanza? Torneranno gli incentivi all’industria? Come si colmeranno i buchi in bilancio lasciati dalla precedente “gestione” governativa che in parte però continua nella gestione attuale? Più tagli o più tasse?
Tanti gli interrogativi che fa sorgere il cambio di governo che stiamo vivendo in queste ore, soprattutto per la scarsa omogeneità tra le visioni che portano avanti le due forze politiche alleate. È vero che la politica è l’arte del compromesso; ma il compromesso tra posizioni radicalmente opposte è quanto di più difficile e faticoso si possa immaginare, soprattutto quando si parla di numeri.
Anzitutto il bilancio. C’è la questione delle clausole di salvaguardia sull’Iva, oltre 20 miliardi di euro da trovare da qualche parte. Ma non dimentichiamo che il bilancio 2019 trovava una quadra pure con un ingente piano di vendite di proprietà pubbliche che è sempre rimasto al palo e che non ha generato finora nemmeno un euro di incassi. Pure qui, dunque, c’è bisogno di rastrellare. Per non parlare infine delle presunte entrate derivanti da condoni e patteggiamenti fiscali molto cari alla Lega ma che rischiano ora di tornare nel libro dei sogni.
Un aiuto lo darebbe una ripresa economica che, incrementando la ricchezza collettiva, aumenterebbe pure gli introiti fiscali. Ora l’Italia è ferma, in qualche modo bisogna farla ripartire; ma tra il dire e il fare… C’è da pescare dal ricchissimo bacino dell’evasione fiscale: solo le truffe sull’Iva ci costano svariate decine di miliardi di euro ogni anno. Qualcosina di meglio si può fare, in tema di legislazione e di controlli. Solo che anche qui, tra il dire e il fare…
E il lavoro? I dati che danno al 9,9% la disoccupazione (e sta ricrescendo…) sono falsati: non tengono conto del fatto che centinaia di migliaia di posti esistono solo sulla carta e sono tenuti in piedi da casse integrazioni cresciute a dismisura (più 42,6% nell’ultimo anno). E quanto alla legislazione, teniamo il punto sul blocco dei contratti a termine e sull’addio ai voucher, o cambierà qualcosa? Perché l’irrigidimento delle norme sul lavoro, in Italia, non produce più contratti, ma più lavoro nero.
E il mitico reddito di cittadinanza? Alla fine s’è sgonfiato da solo, ma manca ancora tutta la parte che prevede – oltre all’elargizione di prebende pubbliche – l’azione di avvicinamento al mondo del lavoro tramite modalità che sono lunari nel contesto italiano. Si teme che gli unici posti di lavoro che creerà il decreto, saranno quelli dei semi-inutili navigator.
E il debito pubblico, i cui interessi da pagare mangiano ogni anno 65 miliardi di euro – 178 milioni di euro ogni giorno! – dalle nostre tasche? Eppure ci vorrebbe una sana iniezione di investimenti pubblici nell’economia: ma per grandi opere o per la vasta manutenzione ordinaria? Infine: sulle acciaierie Ilva (chiuderle o rivitalizzarle?); sui gasdotti; sulle concessioni autostradali; sull’Alitalia e su altre decine di dossier, che succederà?
L’esperienza ci insegna che situazioni tali rischiano di generare, in concreto, un minimo denominatore comune molto minimo: gestione anche oculata del giorno dopo giorno, un fiore all’occhiello a testa da mettersi sul giacchino della propaganda e poco altro. Un tirare a campare che non possiamo proprio permetterci, alla vigilia di una recessione mondiale che viene data per certa. Noi stiamo ancora scontando i postumi dell’ultima, durata in Italia quasi 10 anni. Questa la realtà dei fatti, se i fatti rientreranno nelle agende politiche.