Dopo l’ennesima tragedia del mare. Mons. Di Tora (Migrantes): “Basta indifferenza, servono misure a livello mondiale”
Dopo il naufragio e la morte di 130 persone la settimana scorsa e le parole di Papa Francesco che lo ha definito "momento della vergogna", parla al Sir monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes
E’ un invito alla corresponsabilità e all’impegno concreto a livello europeo e mondiale sul tema delle migrazioni, per evitare altre tragedie del mare, quello di monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes della Cei. A pochi giorni dall’ennesimo naufragio al largo della Libia, nel quale hanno perso la vita almeno 130 persone – nonostante da due giorni fossero state lanciate richieste di aiuto alle autorità di Italia, Malta e Libia – e dopo le parole di Papa Francesco che ha parlato di “momento della vergogna”, il presidente della Migrantes chiede “una presa di coscienza europea. Dal punto di vista mondiale l’Onu deve farsi carico di questa realtà”. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni nel 2021 sono già oltre 450 i morti in mare, in enorme aumento rispetto ai 150 dello scorso anno. Intanto continuano gli sbarchi in Italia: oltre cento migranti che rischiavano il naufragio al largo della Calabria sono stati tratti in salvo dalla Guardia costiera italiana mentre nel Salento e a Lampedusa nelle ultime ore sono arrivate altre imbarcazioni.
Un’altra tragedia del mare nell’indifferenza. Cosa possiamo fare?
L’ennesima strage avvenuta in questi giorni nel Mediterraneo, che un tempo era Mare nostrum ed oggi è diventato il mare della morte e della divisione, ci chiama tutti a un momento di grande riflessione su quello che sta accadendo nel mondo intero. Non possiamo immaginare di pensare solo al nostro piccolo interesse. E’ la situazione storica che ci invita a guardare più oltre, a vedere il mondo nella sua complessità a sentire veramente il discorso di umana fratellanza al quale il Papa ci chiama tutti. “Fratelli tutti” non significa solo belle parole nei momenti di bene. E’ nelle situazioni di difficoltà che dobbiamo agire per arginare il dramma di tanta gente che fugge dalla guerra, dalla miseria, da tante altre situazioni disastrose: non c’è solo la guerra delle armi, c’è la guerra della fame, dell’odio tribale, dalla desertificazione. Le persone non hanno più cibo né acqua. Mancano delle cose fondamentali per la sussistenza, dei diritti fondamentali. Tutta l’umanità deve potersi sentirsi coinvolta per dare una risposta.
Eppure solo Papa Francesco ha usato di nuovo parole forti.
Si è alzata soltanto la voce di Papa Francesco a richiamare la coscienza umana di fronte a un dramma così grande. Dobbiamo riflettere: siamo in periodo di pandemia e difficoltà ma non per questo dobbiamo chiuderci ancora di più. E’ necessario aprirci alla realtà e all’esperienza di un mondo nuovo. Come cristiani siamo chiamati a vivere la nostra fede, a testimoniare il Cristo risorto nelle situazioni storiche in cui ci troviamo, ed oggi è questa la sfida nella quale dobbiamo manifestare il nostro impegno. Una fede che diventa concretezza di fronte a chi vive questo enorme disagio. Oggi non possiamo misconoscere che le migrazioni sono un segno dei tempi, di una realtà nuova, di un mondo che si apre e diventa l’inizio di una storia: nasce una generazione, una realtà, un mondo nuovo e diverso. Siamo chiamati non solo a capire e riflettere ma ad impegnarci per rendere tutto ciò concretezza nella nostra storia.
Le poche Ong che effettuano soccorsi in mare hanno accusato anche l’Ue e l’Italia di non essere intervenuti per evitare la tragedia della settimana scorsa.
Giustamente. Dobbiamo veramente sentirci tutti corresponsabili in questa situazione. Altri sono intervenuti e hanno preso posizione. Questo è un discorso che non può essere ridotto a problema nazionale, è un fatto che riguarda il mondo intero. Le migrazioni non riguardano solo l’Africa verso l’Europa, pensiamo al flusso nelle Americhe verso nord, alle persone che migrano nell’estremo Oriente, in Australia e Nuova Zelanda. E’ un fenomeno mondiale nel quale dobbiamo inserire il nostro impegno.
Cosa sarebbe necessario a livello istituzionale?
Il fenomeno non è solo nazionale e non deve riguardare solo la buona volontà di alcune Ong. Deve essere una presa di coscienza europea. Dal punto di vista mondiale l’Onu deve farsi carico di questa realtà.
Come immagina una possibile operazione dell’Onu, che tra l’altro già interviene attraverso Oim e Unhcr?
La immagino come una presa di corresponsabilità da parte di tutte le nazioni, sia in una collaborazione tipo i corridoi umanitari da dove partono a dove arrivano. E un intervento nelle nazioni dove c’è maggiore povertà, per permettere alle persone di restare e impegnarsi per migliorare la loro situazione. Perché è chiaro che dove c’è ancora povertà la gente tenderà a emigrare. E’ umano cercare di migliorare la propria situazione.
Si parla di 450 morti nei primi mesi del 2021, in aumento rispetto allo scorso anno. Nel 2020 almeno 1400 persone sono morte in mare. Sono cifre che fanno rabbrividire.
Le cifre non solo fanno rabbrividire ma devono toccare la nostra coscienza. Non ci rendiamo più conto che dietro ogni numero c’è un essere umano. Dobbiamo veramente sentire questa umana corresponsabilità. Siamo tutti sulla stessa barca, che è il mondo di oggi.
Ci vorrebbe una operazione nuova, mondiale, di fronte a queste morti, purtroppo invece si rimane quasi nell’indifferenza.
Questa è la cosa brutta. Il Papa ha detto: “Non ci si salva da soli”. Ricordo quando portò l’esempio di una banca che fallisce e il mondo va in subbuglio. Invece muoiono centinaia di persone in mare e nessuno fa nulla.
In Italia inoltre non è iniziata nemmeno la vaccinazione delle persone più fragili, tra cui i migranti nei centri di accoglienza…
Siamo ancora in una situazione difficile, purtroppo lo è ancora per tanta gente. Speriamo davvero che si riesca a prendere un maggiore impegno anche su questo fronte. Il Papa ha dato l’esempio andando personalmente verso i più poveri nel giorno del suo onomastico. I più fragili non devono essere abbandonati.