Dopo di noi: i soldi ci sono, ma non si spendono
Intervista a Roberto Speziale, presidente di Anffas nazionale. “Ci sono regioni in cui non sono state spese neppure le risorse della prima annualità, per la mancata attivazione di campagne di informazione e l’assenza di un percorso di accompagnamento nella presentazione dell’istanza"
ROMA – La legge c'è, le risorse anche e, in molti casi, queste sono state già distribuite dalle regioni tra i vari distretti o ambiti locali: eppure, solo una piccolissima parte di questi soldi sono stati fino ad oggi spesi per la realizzazione dei progetti previsti dalla norma. Perfino le risorse della prima annualità (2016) ancora attendono in molte regioni di essere spese. Perché? Per la mancanza di coordinamento, organizzazione e di quella programmazione sinergica che è il fulcro della legge e dei percorsi che questa delinea. Redattore Sociale ha chiesto a Roberto Speziale, presidente di Anffas nazionale, di fare il punto della situazione.
Le risorse per il Dopo di noi sono state da tempo ripartite: a che punto è il lavoro delle regioni per l'assegnazione dei fondi?
Ad oggi sono state ripartire tra le regioni le risorse delle annualità 2016, 2017 e 2018 e, almeno le prime due, risultano già distribuite tra i vari distretti o ambiti locali, che però non stanno spendendo le risorse per incapacità di costruire percorsi da parte degli enti locali insieme alla persona con disabilità, alla famiglia e alle risorse reperibili in ciascuna comunità di riferimento. Si ricorda, infatti, che nessuna misura può essere attivata se non sia coerente ed inserita all’interno di un progetto individuale di vita redatto ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 della legge n. 328/00, che va costruita insieme al Comune ed all’Azienda sanitaria di riferimento.
Risulta che tante siano le regioni (tra cui il Lazio) in cui ancora non sia stato attivato alcun progetto di residenzialità con i fondi per il Dopo di noi: potete confermarlo?
Ci sono regioni in cui non sono state spese neppure le risorse della prima annualità, vista innanzitutto la mancata attivazione di idonee campagne di informazione, l’assenza di un percorso di accompagnamento delle persone e delle famiglie anche solo per la presentazione dell’istanza per accedere ai percorsi, ma soprattutto le difficoltà e resistenze da parte delle amministrazioni nel ricevere le istanze delle famiglie: confusione circa quale fosse l’ufficio abilitato, dubbi sulla protocollazione della domanda ecc. A questo, che ha già determinato una scarsa presentazione di domande, si è aggiunta l’incapacità di costruire veri e propri progetti.
Possiamo fare qualche esempio, per comprendere la situazione almeno in alcune regioni?
In tutta la regione Puglia sono state presentate solo 52 domande, di cui nove ritenute non esaminabili e 34 ancora in via di istruzione, ormai da più di un anno. Solo nove domande risultano aver dato vita ad un progetto, anche se non è ancora chiaro ai rappresentanti delle associazioni del Tavolo regionale sulla disabilità (di cui fa parte Anffas Puglia) di quale tipo questo progetto effettivamente sia: se di residenzialità oppure solo di percorsi di acquisizione di consapevolezza o di tirocini formativi. In Molise risultava, fino a poche settimane fa, ammesso solo un progetto per la prima annualità, che ora è in via di riesame per la seconda annualità. Nel Lazio, da Tivoli fino al confine con l’Abruzzo, risultavano presentate, oltre un anno e mezzo fa, solo otto domande, cui è seguita una progettazione, ma non ancora una vera e propria partenza di tali progetti. Ancora, in Sicilia molti progetti sono così generici che non possono essere considerati progetti di vita e quindi attivare misure con risorse a valere sul Fondo statale. Infatti un mese fa il Tar Catania ha annullato due progetti individuali che, non avendo le caratteristiche richieste per accedere alle misure di cui alla legge n. 112/2016, risultavano assolutamente inutili e da rifare. Ma l’elenco potrebbe continuare, evidenziando criticità, più che nella legge in sé, nella cattiva amministrazione e nell'incapacità di gestire situazioni. Nel Lazio stiamo tentando di creare una forte collaborazione affinché ciò possa risolversi rapidamente.
Possiamo menzionare invece esempi positivi, di regioni in cui siano partite soluzioni abitative "figlie" della legge?
Anffas Grottammare ha attivato nel 2017 un’esperienza di convivenza secondo legge n. 112/2016 ed ha inaugurato, il 6 ottobre 2018, una nuova esperienza abitativa, raccontata anche in un
La legge prevede la presentazione di una relazione annuale al parlamento: quando è prevista la prossima?
Entro il 30 giugno di ogni anno il ministro del lavoro e delle politiche sociali deve trasmettere alle Camere una relazione sullo stato di attuazione della legge stessa e sull’utilizzo delle sue risorse. Quindi oggi, avremmo dovuto avere già pubblicate almeno tre relazioni, mentre ne è stata presentata solo una, a fine 2017, consistente più che altro nella ricognizione di come le regioni avessero programmato di utilizzare le risorse. La seconda relazione sarà dunque la prima a render conto dell’impatto che effettivamente la legge ha avuto sui territori e di come siano cambiate le condizioni di vita di coloro che sono previsti come beneficiari della legge. Il ritardo nella redazione della seconda relazione dovrebbe essere stato determinato dai ritardi con cui le regioni hanno dato conto dell’utilizzo delle risorse al ministero, visto che le stesse hanno avuto grosse difficoltà nel modificare il loro modo di fare welfare secondo i nuovi paradigmi della legge n. 112/2016. Qualche settimana fa il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fatto sapere di aver completato tale seconda relazione e di essere prossima alla trasmissione al Parlamento, attraverso la presidenza del Consiglio dei ministri, visto che il premier Conte ha intenzione di far partire una struttura di coordinamento presso la presidenza stessa.
Quali caratteristiche deve avere una casa per il Dopo di noi, in base a quanto previsto dalla legge?
Innanzitutto essa deve presentare le caratteristiche di un'abitazione,o gruppo –appartamento o co-housing, che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare. Non occorrono quindi particolari certificazioni o requisiti strutturali (di autorizzazione o di accreditamento) come per le ordinarie strutture residenziali, ma solo quelli per le case di civile abitazione e quindi è sufficiente la semplice certificazione di abitabilità. Sono poi previsti, all'articolo 3 del decreto ministeriale, i seguenti requisiti: l'ospitalità deve riguardare un numero massimo di cinque persone; gli spazi devono essere accessibili e organizzati come ambienti domestici, che possano essere vissuti come la propria casa; deve essere promosso l'utilizzo di nuove tecnologie per migliorare l'autonomia delle persone con disabilità grave, in particolare tecnologie domotiche, di connettività sociale, assistive e di ambient assisted living; le case devono essere ubicate in zone residenziali, ovvero anche rurali esclusivamente all'interno di progetti di agricoltura sociale e comunque in un contesto territoriale non isolato, essere aperte alla comunità di riferimento, permettere la continuità affettiva e relazionale degli ospiti.
In base al vostro lavoro sui territori, quali risultano le maggiori criticità nell'attuazione della legge?
Come Anffas abbiamo accompagnato le fasi di costruzione della programmazione regionale, ma avremmo voluto essere più considerati anche nella progettazione degli interventi personalizzati. Invece, mentre abbiamo seguito e conosciamo bene tutta la fase di avvio, diversamente la fase di rilevazione dell'impatto degli interventi non è da noi oggettivamente rilevabile. Essendo tuttavia Anffas radicata su tutto il territorio nazionale, grazie al continuo flusso interno di informazioni, ha chiaro quali siano i temi più rilevanti, le criticità e i punti di forza. Tra le criticità, vi è la mancata conoscenza sul territorio delle opportunità della legge, anche in assenza di una campagna da parte delle istituzioni stesse; l’incapacità di progettare interventi e poi di attivarli, visto che questi ultimi oggi non sono più pensati in maniera standard, ma personalizzata e co-progettata. Le regioni che hanno tendenzialmente seguito meglio il nuovo approccio richiesto dalla legge n. 112/2016 sono state a nostro giudizio: Lombardia, Toscana ed in parte l’Emilia Romagna (anche se registriamo molti territori di tale ultima regione in cui non vi è alcuna attenzione sul tema). In generale, possiamo dire che la legge offra una buona possibilità e un punto di partenza, ma serve un cambio di paradigma e un modo diverso di pensare il welfare, perché nei territori locali tale potenziale non diventi un freno, ma il volano per la costruzione di interventi di corresponsabilità e di comunità solidale. Tale paradigma consiste soprattutto in una nuova attenzione verso le aspettative e i desideri delle persone con disabilità, unita alla capacità di disegnare un progetto di vita in chiave multidimensionale, che vada a raccogliere e valorizzare le varie risorse presenti nei vari contesti vissuti (sostegni informali, come le amicizie ed il volontariato; risorse pubbliche insieme ad apporti privati, ecc..) e non pensato per singoli interventi e per singoli flussi di finanziamento.
Chiara Ludovisi