Diplomazia. Ferrara: “Il Papa guarda ai popoli, non guarda agli apparati statali”
“La diplomazia della Santa Sede si sta profilando in modo sempre più stagliato”, dice l’ambasciatore al Sir, e “la prossima missione a Pechino del card. Zuppi inserisce un nuovo tassello, molto importante, perché almeno in parte la soluzione può passare per Pechino. Tuttavia, occorre grande realismo: la Santa Sede continua a lavorare soprattutto sul registro umanitario, che però ha necessariamente anche una dimensione politica”
“Mi pare che le questioni, nel medio e lungo periodo, non saranno più solo le armi in senso militare ma soprattutto l’arma diplomatica” e in questo quadro “la diplomazia della Santa Sede si sta profilando in modo sempre più stagliato”. Il Sir ha chiesto all’ambasciatore Pasquale Ferrara, attuale direttore generale degli Affari politici e di Sicurezza del Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, un punto sulla ricerca di una soluzione “diplomatica” al conflitto in Ucraina, alla luce della non facile “offensiva di pace” portata avanti dalla Santa Sede. Papa Francesco si trova in queste ore in Mongolia, terra tra Russia e Cina, e Pechino sarà la nuova tappa – dopo Kiev, Mosca e Washington – del suo “inviato di pace” card. Matteo Zuppi.
Professore, da questi “passi” compiuti e in divenire, come si sta delineando la diplomazia della pace messa in atto dalla Santa Sede e da Papa Francesco?
La diplomazia della Santa Sede si sta profilando in modo sempre più stagliato. Non a caso, il Vaticano ha partecipato alla conferenza internazionale sull’Ucraina in Arabia Saudita. La prossima missione a Pechino del card. Zuppi inserisce un nuovo tassello, molto importante, perché almeno in parte la soluzione può passare per Pechino. Tuttavia, occorre grande realismo: la Santa Sede continua a lavorare soprattutto sul registro umanitario, che però ha necessariamente anche una dimensione politica.
Pensiamo alla questione dei prigionieri, dei deportati e dei bambini rapiti: se non c’è un minimo di intesa, non sono strade praticabili, ci vuole una collaborazione dai due lati. E questa è politica.
Recentemente parlando ad un gruppo di giovani russi, il Papa ha fatto una dichiarazione sulla storia e sulla cultura della Grande Russia che ha purtroppo suscitato forti proteste in Ucraina. Quanto margine di ascolto e movimento ha il Papa oggi?
Papa Francesco non perde occasione per ricordare le immani sofferenze del popolo ucraino. Il Papa guarda ai popoli, non guarda agli apparati statali.
Da questo punto di vista, aver ricordato la grandezza della Russia, della sua vicenda intellettuale, è una constatazione storica, che non ha nulla a che vedere con l’agenda politica neo-imperialistica di Putin. C’è un tempo lungo, il tempo della cultura e delle civiltà, che non va confuso con la strumentalità che vi applica il Cremlino.
Papa Francesco ha invitato i giovani a guardare oltre, a guardare in alto, a recuperare un patrimonio di cultura russa che per secoli ha dialogato con l’Occidente, in un arricchimento reciproco. È un incoraggiamento a non farsi strumentalizzare: tutto il contrario di certe letture superficiali.
Il presidente Zelensky si è detto disponibile ad una “soluzione politica” per la Crimea, sebbene continuino ad arrivare notizie di bombardamenti sulla penisola. È credibile questa apertura?
Il riferimento del presidente Zelensky alla Crimea è stato male interpretato. Nessuno politico ucraino potrebbe mai ammettere la perdita definitiva della Crimea. Qui la questione è diversa: l’aspettativa di Kiev è che la Russia ceda e ritiri le sue truppe dalla penisola quando e se ci si troverà in una fase del conflitto caratterizzata da una pressione militare ucraina anche sulla Crimea. Questo significa “smilitarizzazione” nell’ottica di Zelensky. In ogni caso la questione, dal punto di vista ucraino, è la fine dell’occupazione russa della Crimea, che dura dal 2014. Che però è cruciale nel contesto degli obiettivi politico-strategici di Mosca, che ne ha proclamato l’annessione e che quindi la considera territorio nazionale.
La guerra in Ucraina non ha tregua. Anzi, proseguono i “rifornimenti” militari in Ucraina, segno di una strategia che non vede all’orizzonte nessun spiraglio di pace. Che spazio di negoziato rimane?
Mi pare che la questione, nel medio e lungo periodo, non saranno più solo le armi in senso militare ma soprattutto l’arma diplomatica.
Gli Ucraini stanno difendendo in modo eroico il loro Paese. Sembra però ora abbastanza chiaro che all’impegno sul campo di battaglia dovrà essere accompagnata la ricerca di una soluzione politica, mettendo tuttavia al centro la sovranità, l’indipendenza e la sovranità territoriale dell’Ucraina. Da questo punto di vista, gli incontri internazionali che hanno avuto luogo a Copenhagen e poi a Gedda in Arabia Saudita (al quale ha partecipato anche la Cina) sulla formula per la pace di Zelensky sono segnali importanti, perché vanno oltre la cerchia dei Paesi occidentali.