Dio abita ancora il cielo? La Lettera.d Manuela Riondato
Il lancio, il giorno di Natale, dell’ultimo avanzatissimo telescopio spaziale, il James Webb, stimola la riflessione sul ruolo di Dio nella creazione della vita e dei corpi celesti
Disegnare figure unendo i punti per rendere familiari le posizioni, inventare storie per unire tra loro le figure: così gli antichi proiettavano nel cielo la fantasia umana e la vita terrestre per ricordare, orientarsi, dare una direzione al proprio viaggio, fisico ed etico. Lo spruzzo di latte galattico riempiva il cielo con il suo arco, nascondendo il nucleo con polveri cosmiche e sfilacciando le ultime propaggini dei suoi bracci involuti. La prima volta che mi sono resa conto che la nostra galassia, la Via Lattea, è lì stampata a tutto campo sulle nostre teste, il cielo era talmente carico di luci da perdere il senso dell’orientamento. Mi trovavo in un luogo sufficientemente lontano da città e fonti di luce artificiale, al punto che le poche stelle che vedevo di solito si perdevano in quel mare luminoso. Eppure nell’antichità gli uomini erano talmente abituati a guardare il cielo così pieno di stelle da distinguere senza problemi i punti di riferimento principali. Non solo: in mezzo a quella marea di corpi celesti riuscivano a riconoscere che alcuni di essi si spostavano, con il passare dei giorni, rispetto a un quadro di stelle fisse, tanto da meritare il nome greco di plànētes astéres, stelle vagabonde, oggi chiamati semplicemente pianeti. Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno sono stati chiamati così dai Romani, che vi proiettavano le caratteristiche degli dèi principali.
Il cielo è sempre stato la dimora di Dio, un luogo lontano, separato dalla terra nella quale viviamo, misterioso. Con l’avvento del cannocchiale, ripreso e perfezionato da Galileo, è cambiato il modo di guardare il cielo, tanto che oggi il nostro occhio sull’universo è in grado di esplorare oggetti lontani da noi addirittura miliardi di anni luce (un anno luce corrisponde a circa 9.461 miliardi di chilometri, lo spazio che percorre la luce in un anno). Quel cielo piatto punteggiato di stelle fisse e di spruzzi di latte è diventato tridimensionale, incredibilmente profondo e vasto, un passato che arriva a noi, attraverso la sua luce, così com’era addirittura miliardi di anni fa. Inoltre siamo in grado di guardare con lenti diverse: nella luce visibile, nell’infrarosso, nelle onde radio, nei raggi gamma e raggi X, nell’ultravioletto. Ogni parte dello spettro elettromagnetico può darci informazioni sugli oggetti che studiamo.
L’ultimo, avanzatissimo telescopio spaziale, il James Webb Space Telescope, è stato lanciato il giorno di Natale per raggiungere un punto particolare dello spazio lontano un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Lì potrà raccogliere dati nel vicino e medio infrarosso per studiare oggetti e regioni dello spazio oscurate nel visibile da gas e polveri: potrà indagare sulle origini e sulla geometria del nostro universo, sulla formazione delle prime galassie e sui buchi neri presenti al loro interno, sulla presenza e formazione di pianeti extrasolari, sulle condizioni per la vita. La tridimensionalità non riguarda più solo l’universo nel suo insieme, ma anche gli oggetti che lo compongono e la loro storia. Stiamo esplorando una realtà a più strati, per la quale più si guarda lontano più ci si avvicina a comprendere da dove veniamo e attraverso quale complessa storia fisica siamo qui. Noi siamo il frutto forse più maturo di questa storia, costruiti per mezzo di quegli stessi elementi chimici che si sono formati nel Big Bang iniziale o nel cuore di stelle che ormai non esistono più. In tutto questo, Dio abita ancora il cielo o ne è stato semplicemente espulso? C’è chi pensa che se ne stia nascosto negli anfratti più bui dell’universo, inaccessibili pure a noi, c’è chi dice che prima o poi verrà cacciato anche da lì. Forse, invece, anche lui ha bisogno di acquisire, agli occhi della fede, tutta la sua tridimensionalità e profondità. Per noi cristiani, con l’incarnazione, Dio abita lo spazio e il tempo. Non solo quello ridotto di un uomo, in una piccola provincia romana, in circa trent’anni di vita, ma, attraverso Gesù di Nazaret, tutto lo spazio e il tempo. Per mezzo del suo Spirito continua a essere presente e a riportarci a lui, e con noi tutta la creazione, che ha assunto su di sé facendosi carne e sangue, ossigeno, idrogeno, azoto, carbonio… Tutto questo per permetterci di incontrare l’amore del Padre. Dio è dinamismo, profondità, “tridimensionalità” come scopriamo essere il cielo, come ci accorgiamo di essere noi stessi. È solo guardando attraverso questa lente che potremo dire che Dio abita il cielo, proprio perché si è fatto uomo sulla Terra.