Differenziare si può e si deve. La tecnica c'è, manca l'allenamento
Non c’è condizione di partenza, per quanto infausta, che possa giustificare nostri comportamenti che non siano in linea con una educazione ecologica fatta di piccoli passi quotidiani.
“C’è da considerare anche l’inquinamento prodotto dai rifiuti […] Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, […]. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia […] Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura. Rendiamoci conto, per esempio, che la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non riciclata”. (LS 21-22).
Se pensiamo che questo monito del Papa non ci riguarda perché non possiamo andare noi a ridurre l’isola di plastica che galleggia nell’Oceano Pacifico; o anche solo – penso ai miei concittadini romani – perché siamo disarmati di fronte ai cumuli di immondizia che sovrastano i cassonetti… se pensiamo che tutto questo non ci riguardi, ci sbagliamo di grosso. Non c’è condizione di partenza, per quanto infausta, che possa giustificare nostri comportamenti che non siano in linea con una educazione ecologica fatta di piccoli passi quotidiani. Anche se per la strada si aggirano enormi gabbiani che cercano cibo fra i sacchetti di rifiuti, i nostri figli hanno il diritto e il dovere di apprendere che fare la raccolta differenziata è una questione di civiltà.
Buttare in tre contenitori diversi il cartoncino esterno, l’alluminio del tappo e la plastica del vasetto con cui è venduto uno yogurt è un’operazione che le generazioni che ci seguono devono acquisire come assolutamente normale. Così, ovviamente, come schiacciare e poi buttare una bottiglia di plastica, o raccogliere l’umido senza lasciarne parte sui contenitori o le stoviglie. Le tecniche per una raccolta dei rifiuti fatta con rigore ed intelligenza sono molte e fortunatamente ormai alla portata di tutti, quello che manca è un allenamento, una perseveranza perché quello che inizialmente può sembrare uno sforzo, divenga col tempo un habitus vero e proprio, un’abitudine che non pesa più perché diventata naturale. Saper riconoscere i materiali e quindi le loro destinazioni nello smaltimento non può più essere l’accanimento controvento di pochi, ma deve diventare materia di insegnamento a scuola e oggetto di pratica consueta a casa.
In questo modo ci si assuefa a contrastare la cultura dello scarto e si guardano le cose e le persone con occhi diversi, occhi più pronti a valorizzare il dettaglio, a riciclare, cioè a rendere nuovo ciò che apparentemente sembrerebbe da buttare, a dare valore alle cose anche oltre il loro primo aspetto. C’è bisogno di acquisire questa sensibilità nuova e di trasmetterla ai nostri figli. Saper rispondere alle domande dei piccoli sul perché ci sia bisogno di fare attenzione a dove e cosa buttare è un esercizio che dobbiamo fare non solo per salvare il pianeta anche col nostro piccolo gesto ma anche per salvare la qualità della nostra convivenza. Nessuno è troppo piccolo per non fare la differenza e quell’Oceano deturpato dall’isola di plastica chiede a ciascuno di noi una goccia di acqua pulita per avere vita.
Giovanni M. Capetta