Coronavirus. Cauda (Gemelli): “In Italia ad oggi non c’è epidemia ma occorre informare sull’entità del rischio e non abbassare la guardia”
Né allarmismi, né sottovalutazioni. In Italia al momento non c'è epidemia da coronavirus ma esiste un rischio di fronte al quale occorre mantenere alta la guardia. Lo spiega in un'intervista al Sir il direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma spiegando che le misure messe in campo nel nostro Paese sono efficaci. Ancora tempi lunghi per un vaccino; per un eventuale trattamento è giusto coltivare la speranza ma l'esperto invita alla massima cautela. Importante, assicura, "informare i cittadini in modo pacato e costruttivo sulla reale entità del rischio"
“Al momento l’epidemia da coronavirus 2019-nCoV è limitata alla Cina. In nessun altro Paese del mondo esiste un problema epidemico.
In Italia, ad oggi, non si deve dunque parlare di epidemia, bensì di rischio epidemia, da non sottovalutare ma da affrontare con buon senso e con i piedi per terra”. A sgomberare il campo dagli eccessivi timori provocati dal rincorrersi delle notizie, che hanno dato luogo anche a qualche episodio di intolleranza nei confronti di persone di origine cinese, è Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma. In Cina il numero dei casi di coronavirus accertati supera i 24mila, con quasi 4mila nuovi casi in 24 ore. I nuovi decessi sono 67, tutti nella provincia focolaio di Hubei: 492 il totale delle vittime dall’inizio dell’epidemia. Sono invece 898 i pazienti guariti e dimessi dagli ospedali. Intano restano in prognosi riservata all’Istituto Spallanzani di Roma i coniugi cinesi provenienti dal Wuhan positivi al test del nuovo coronavirus, ancora ricoverati in terapia intensiva. Questa mattina si è riunita nuovamente a Roma la task-force del ministero della Salute alla presenza del ministro Roberto Speranza per fare il punto sull’andamento del contagio in Cina e negli altri Paesi coinvolti, verificare le implementazioni dei controlli su porti e aeroporti. Ieri nello scalo romano di Fiumicino sono partiti i controlli della temperatura corporea dei passeggeri in arrivo con il termoscanner. Allestiti tre check-point e predisposte undici corsie di controllo presidiate da operatori sanitari. I termoscanner sono stati estesi anche negli altri aeroporti italiani.
Professor Cauda, è possibile formulare previsioni sull’andamento della malattia?
Oggi in Cina, secondo i dati che vengono diffusi, circa 60 milioni di persone sono in “quarantena”. Alcuni modelli matematici hanno ipotizzato che potremmo osservare il picco dell’infezione nelle prossime settimane di febbraio. Quando vedremo calare il numero dei contagi, potremo forse dire che sta iniziando la parabola discendente. Ma fare previsioni, ancorché con modelli matematici, non è affatto semplice.
Quali sono ad oggi gli strumenti efficaci contro il virus?
Non possiamo ridurre la platea dei contagiabili attraverso un vaccino che non esiste e non sarà disponibile in tempi brevi.
L’unica arma è identificare i pazienti, metterli in isolamento e trattarli; identificare i contatti e attuare azioni di contenimento dell’epidemia nelle aree pesantemente colpite. Occorre insomma contenere il contagio limitando i trasporti e utilizzando lo strumento della “quarantena”.
La sospensione dei voli in questa particolare contingenza costituisce un elemento utile.
Che cosa pensa dei controlli effettuati con lo scanner termico?
Di questa malattia non sapevamo nulla fino al 31 dicembre. Nei giorni scorsi l’Oms ha affermato che il contagio da soggetti asintomatici è un’evenienza estremamente rara ma non si può escludere. Quindi se i termoscanner non sono la soluzione, sono certamente un aiuto alla soluzione perché la persona alla quale viene rilevata la febbre diventa soggetto da attenzionare: potrebbe avere una banale influenza ma potrebbe essere a rischio di sviluppare l’infezione. Un passo avanti verso un migliore controllo.
Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia di una paziente thailandese guarita grazie ad una terapia combinata. Che ne pensa?
Prima che uscissero indicazioni sul caso della signora thailandese trattata con un cocktail di un farmaco antinfluenzale più due farmaci antivirali, che – secondo quanto riferito da fonti mediche thailandesi – avrebbe avuto un miglioramento clinico in 12 ore e la scomparsa del virus in 24, già da giorni era stata resa pubblica e disponibile la sequenza del virus. Cosa che ha consentito l’allestimento dei test per escludere tutte le forme similinfluenzali che potevano ricordare il coronavirus. I ricercatori hanno studiato la struttura molecolare di alcuni farmaci antivirali, ossia come si potevano adattare le loro molecole rispetto al genoma del virus e hanno ipotizzato una lista di possibili farmaci. La scienza si sta muovendo ma occorre chiarire che anche se alcune molecole hanno funzionato in vitro inibendo il virus, non è detto che funzionino in vivo nei pazienti. Non è possibile traslare automaticamente ciò che si vede in provetta a ciò che si potrebbe vedere domani nell’uomo. È giusto coltivare le speranze per il trattamento ma ci vuole moltissima cautela.
Come valuta la dichiarazione di stato di emergenza nazionale per rischio sanitario?
Ad alcuni è sembrata eccessiva, ma secondo me è una misura ragionevole e opportuna, utile a mantenere alto il livello di attenzione. Del resto, quando esiste, come ora in Italia, un rischio epidemia, qualunque cosa si faccia si è accusati di avere fatto troppo o, al contrario, di aver fatto troppo poco. Per me è preferibile fare troppo piuttosto che omettere qualcosa. Le persone non vanno né falsamente rassicurate, né eccessivamente allarmate. Occorre informare in maniera pacata e costruttiva sulla reale entità del rischio.
Il Centro europeo di controllo delle malattie infettive ha affermato che in questo momento il rischio di trasmissione uomo-uomo in Europa è basso.
Per fronteggiare il rischio epidemia sono stati “arruolati” anche i medici di medicina generale.
Non possiamo escludere, anche se nessuno se lo augura, un eventuale allargamento della situazione. In questo caso potrebbero dover entrare in campo più player. Oltre all’Istituto Spallanzani, da subito in prima linea svolgendo come sempre un lavoro egregio, è importante avere coinvolto anche i medici di medicina generale che si sono già dotati di linee guida per la gestione della malattia.