"Come sono grasse e sane le galline padovane"
Nella prima pagina della Difesa dell’11 agosto è riportata una filastrocca significativa che fa la parodia delle brame dei tre comandanti austroungarici, Conrad dell’armata degli altipiani, Boroevic e Wurm delle armate del Piave.
«L’ultimo numero della “Tradotta”, giornale settimanale della Terza Armata, reca tra le altre, le seguenti strofe piene di brio:
L’austroungarica offensiva
culinariomangiativa
fu sui monti ed in pianura
preparata con gran cura
col sussidio tragicomico
d’un gran piano gastronomico.
Von Conrad si sente in mano
già gli asparagi di Bassano;
già pregusta le ciliegie
di Marostica sì egregie
e di Schio tra i monti belli
gusta già polenta e uccelli.
Boroevic pensa alla bella
Castelfranco e Cittadella,
ché radicchio e polentina
già gli danno l’acquolina;
non è buono di star senza
le ciambelle di Vicenza.
Pensa Wurm: “che paradiso
di luganega è Treviso!
Dopo triboli e pericoli
che panciate di baicoli!
Come sono grasse e sane
le galline padovane!”
Pensan tutti: “in men d’un ave
si divora il pan del Piave,
tutto quanto ci si pappa,
bardolin si beve e grappa,
poi si mangia (perché no?)
lo storione in riva al Po”.
Ma la cosa andò così
che mangiaron per sei dì
spezzatini di granata
baionette in insalata,
bombe, calci, pacche, botte
annegati e teste rotte.
Chi fa i conti senza l’oste
mangia un fracco di batoste».
Nello stesso numero, in seconda pagina sotto il titolo “Mensa comune” si riportano le affermazioni di Lloyd George (primo ministri inglese) secondo cui «il pericolo della carestia per l’Intesa è ormai felicemente superato. Egli ha parlato di un’unica causa, un’unica tavola, un’unica mensa. Ci si permetta di osservare che siamo un po’ scettici sul significato reale e pratico di queste parole. Non sappiamo precisamente che cosa si mangi in Inghilterra e non vogliamo fare deduzioni in proposito dal trattamento usato ai soldati inglesi; sappiamo però che in Francia sono stati aboliti i giorni senza carne quando da noi son diventati sette a settimana».
L’articolo così conclude: «Può essere, è certo anzi, che i nostri nemici stanno peggio di noi; bisogna però che le popolazioni che più soffrono siano persuase anche che, ammesse pure le debite proporzioni, i nostri amici non stiano troppo meglio di noi».