Ciad nel caos, le voci dei missionari: “Qui non funziona niente. A farne le spese è sempre la gente”
Il presidente Idriss Déby Itno è stato ucciso dai guerriglieri. I militari hanno preso il potere e lo deterranno per 18 mesi fino a nuove elezioni. Parlano i missionari italiani don Silvano Perissinotto e don Achille Bocci. Si teme un'escalation di violenze e un conflitto tra etnie e famiglie
La notizia della morte del presidente del Ciad Idriss Déby Itno, 68 anni, ucciso lunedì 19 aprile negli scontri con i ribelli del Fronte per l’alternanza e la concordia nella provincia di Kanen, nel nord del Paese, rimbalza anche dalle missioni dove lavorano i fidei donum italiani. Don Silvano Perissinotto, fidei donum di Treviso, in missione a Fianga nella diocesi di Pala, nel Ciad meridionale, afferma: “siamo indubbiamente in una fase delicata. La mossa dei militari di formare il Consiglio nazionale di transizione, seppure mettendolo nelle mani del figlio del presidente ucciso, è pericolosa: siamo di fatto entrati in un regime militare”.
Lotte di potere. Il Consiglio, si legge nella nota rilasciata dai militari, dovrà traghettare il Paese per 18 mesi fino a nuove elezioni. “18 mesi non sono pochi – continua don Perissinotto – in una situazione come quella in cui si trova il Ciad, Paese poverissimo reso ancora più fragile dal Covid e dagli attacchi dei ribelli che scendono da nord”. “A farne le spese – afferma il missionario – è sempre e solo la popolazione: dove siamo noi, a sud, la scuola non funziona, la sanità è inesistente, per non parlare del sistema dei trasporti. Dietro gli scontri tra governo e oppositori c’è la lotta di potere per le ricchezze del Paese, per le sue materie prime”. Aggiunge: “da una parte c’è la Francia che appoggia il governo del presidente Deby, dall’altra i ribelli, sostenuti da Turchia e Stati arabi. Bisogna vedere adesso chi si muove e come. Da lì capiremo molte cose”.
Quali le prossime mosse? “Bisogna capire se i ribelli avranno la forza di attaccare la capitale o meno”, specifica don Achille Bocci, fidei donum dalla missione di Djodo Gassa, sempre nella diocesi di Pala. “Qui al sud siamo troppo lontani per avere qualsiasi ripercussione concreta, siamo solo spettatori. Per la mia gente risulta molto strana la sequenza degli eventi: l’attacco dei ribelli al nucleo delle forze armate dove era arrivato domenica il presidente Bedy… Pare che i suoi blindati non siano stati capaci di aprire il fuoco sul nemico, nettamente inferiore di mezzi e uomini”.
Non cambia mai nulla. “Adesso si scatenerà sicuramente una difficile, lunga, subdola lotta di potere, prima di tutto all’interno dell’etnia di Débi stesso, gli Zagawa del nord est ciadiano, tra la sua grande famiglia Itno e l’altra grande famiglia degli Hagar da sempre sua rivale e concorrente, molto ricca e con esponenti di alto livello culturale. Questa nuova lotta di potere tra le due famiglie potrebbe chiamare in causa l’etnia dei Goran, nel nord ovest del Ciad, e ancora quella dei beduini dell’estremo nord. Insomma, nulla di nuovo per questo martoriato Ciad”.
Paolo Annechini (*)
(*) redazione “Popoli e Missione” e “Noticum”