Casa della speranza di Arino. Qui abita la speranza degli ultimi tra gli ultimi
Arino. Don Doriano Carraro, prete della diocesi di Siena, ha dedicato non solo il suo ministero, ma anche la sua casa natale, ai più poveri. Così è nata la Casa della Speranza, gestita dall'associazione Il Portico. L'accoglienza dei migranti parte dalla lingua, poi lo studio, la patente e i tirocini. Chi li assume è molto contento. Nessuno rimane indietro
«Il Signore ha voluto che mi dedicassi alla povertà degli ultimi tra gli ultimi». È questa, in sintesi, la missione che accompagna la vita di don Doriano Carraro, nato ad Arino nel 1950 ma da sempre prete nella diocesi di Siena. Noto anche in terra toscana per esperienze di accoglienza e di accompagnamento di profughi, don Doriano è riuscito ad animare con la stessa misericordia la sua terra natale, trasformando l'abitazione dei suoi genitori nella Casa della Speranza, dove una decina di giovani africani sognano un futuro possibile.
«Queste persone sono veramente diseredate – spiega don Doriano – qui facciamo percorsi di integrazione, studio della lingua, scuola, tirocini formativi, patenti di guida. Aiutiamo le persone a conseguire un diploma e a trovare lavoro». Chi ha ispirato tutto questo lo ha fatto da vicino, molto vicino. «Don Igino Maroso, parroco di Arino, è stato un grande esempio di apertura alla mondialità. Qui, da grande ammiratore di don Lorenzo Milani, ha ospitato dei preti studenti dall’Indonesia. E così, anche la mia vita di prete, da 39 anni, è dedicata agli ultimi».
A rendere possibile un cammino come questo vi sono tante persone di Arino, che sentendo forte il legame con don Doriano hanno accettato questa sfida. In primis c’è l’associazione Il Portico, che ha in gestione la casa. «Ciò che ha spinto don Doriano a fare tutto questo – spiega il referente per l’associazione Claudio Costantini – è la giustizia riparativa. Abbiamo depredato per secoli l’Africa, ora bisogna restituire dando una mano a chi si trova costretto a scappare. La nostra non è un’accoglienza “passiva”: lo stile della casa è preparare i giovani alla vita là fuori».
Per questo, come minimo tutti ottengono la licenza media: «A oggi tutti o stanno studiando o già lavorano. In questi giorni siamo alle prese con l’uscita di alcuni ragazzi: hanno trovato un lavoro, chi a tempo indeterminato chi per periodi lunghi e con prospettive di rinnovo. Per loro è già pronto un contratto di affitto regolare. Tutto questo è commovente, pensando che questi ragazzi sono arrivati qui, in Italia, qualche anno fa, senza nemmeno saper pronunciare una parola di italiano».
«Un contributo fondamentale è arrivato dal Fondo di solidarietà per il lavoro – osserva Marcello Grandesso, impegnato nel centro d’ascolto vicariale Caritas di Dolo – che si è tramutato in prime possibilità di inserimento. Ci sono due giovani del Gambia assunti in un’azienda di Arino, che produce stampi e prodotti per la fabbricazione di scarpe. Un altro ragazzo ha trovato lavoro in un’azienda metalmeccanica: chi l’ha assunto ora è contentissimo. Altri ancora lavorano la mattina e il pomeriggio vanno a scuola, uno lavora proprio nell’associazione Il Portico, un altro ancora sta facendo un’esperienza in una ditta e sembra che a settembre sarà assunto, dato che il lavoro è destinato ad aumentare. C’è chi spera di continuare ciò che faceva in Africa: un giovane, uno degli ultimi arrivati, cuciva le tuniche per la preghiera in moschee. Cucire gli piace ancora, e così vorrebbe trovare lavoro in un’azienda tessile del posto».
E il territorio? Ha risposto bene. «Non abbiamo mai avuto problemi di razzismo o di intolleranza – testimonia Sandro Gozzo, presidente del Portico – anche perché questi ragazzi si sono inseriti nelle attività sportive e culturali del paese, dalle associazioni ai ritrovi dei cantanti, come i concerti dei Rumatera di Cazzago». Ci si ispira, anche nella quotidianità, a modelli alti: «Come associazione abbiamo scelto il modello di Eraldo Affinati, che nel 2010 ha aperto una scuola per stranieri a Roma. Affinati dice che, se don Milani fosse vivo oggi, si occuperebbe proprio di questi fratelli».
«È attraverso esperienze come questa – conclude don Doriano Carraro – che sperimentiamo la bellezza della diversità».