Cambiamenti. Il piano della formazione e della cultura resta il primo cui far riferimento per un reale cambiamento degli stili di vita
Il tema dell’ambiente oggi si pone come urgenza inevitabile e attualissima, in concomitanza con l’incontro di Glasgow sul clima (Cop26).
Cambiamenti climatici, ambiente a rischio, responsabilità collettive e personali, comportamenti da cambiare. Sono temi che inevitabilmente interessano tutti e in particolare il mondo della scuola, perché è a scuola in modo speciale che si formano le conoscenze, le consapevolezze, le responsabilità.
Vale la pena ricordare che il compito della scuola è proprio quello di formare l’uomo e il cittadino, attraverso la cultura, la trasmissione di saperi, la promozione dello spirito critico, la valorizzazione delle diversità, la promozione dell’inclusione.
Si potrebbe andare avanti. Ma il tema dell’ambiente oggi si pone come urgenza inevitabile e attualissima, in concomitanza con l’incontro di Glasgow sul clima (Cop26). Il ministro Patrizio Bianchi, intervenendo proprio a Glasgow all’evento congiunto dei Ministri dell’Istruzione e dell’Ambiente “Together for tomorrow: Education and Climate Action”, ha esordito così: “Possiamo raggiungere una maggiore consapevolezza sui cambiamenti climatici e adottare modelli di sviluppo più sostenibili solo rafforzando le politiche educative. Per questo ci impegniamo a far sì che l’educazione allo sviluppo sostenibile diventi la spina dorsale dei percorsi di studio e che le scuole e gli ambienti di apprendimento siano maggiormente collegati al contesto naturale, economico e culturale del Paese. L’educazione guida e modella i sistemi sociali ed economici e la sua missione principale è promuovere nelle giovani generazioni la conoscenza della complessità del mondo in cui viviamo, fornendo loro gli strumenti per agire per il cambiamento”.
Parole sante, verrebbe da dire. E in effetti il piano della formazione e della cultura resta il primo cui far riferimento per un reale cambiamento degli stili di vita di questo nostro mondo, che rischia il disastro ambientale. E non bastano certo i “blablabla” dei politici denunciati da Greta Thunberg (ormai fenomeno mediatico globale) e rilanciati con enfasi dai media per avviare una autentica svolta sostenibile.
Questo non significa che gli impegni dei politici mondiali siano da sottovalutare, però la critica deve far riflettere sul fatto che non bastano progetti “fantasiosi” e che – di nuovo Greta – “questa Cop è il festival del greenwashing del Global North”. Cioè un modo di lavarsi la coscienza da parte di quella (piccola) parte del mondo che consuma troppo e per tutti, lasciando indietro popoli e Paesi. In questa direzione vanno anche le riflessioni di Civiltà Cattolica che nell’ultimo numero ricorda come la strada da seguire sia anzitutto quella dell’equità e della lotta alla povertà, dello sviluppo sostenibile. Il punto cruciale, secondo l’autorevole rivista dei Gesuiti, che pur non sottovaluta gli impegni politici, non riguarda tanto le tecniche per l’abbassamento della temperatura del pianeta, quanto piuttosto la questione della giustizia, cioè “l’interesse generale” a cui dovrebbero puntare i negoziati.
La recente pandemia è un esempio drammaticamente evidente di questa realtà. Con la necessità di uscire dall’emergenza “insieme”, cioè non solo in quei Paesi che hanno risorse e vaccini in abbondanza, ma con l’attenzione a tutta la comunità mondiale. Così il clima e la transizione ecologica: non è – solo – questione di consumi, ma di giustizia e condivisione. Di cultura (quella non “dello scarto”).
E allora torna protagonista la scuola. Restano alla ribalta i più giovani. C’è tanto da fare.