Bologna, chi c’è dietro la campagna per la liberazione di Patrick
Com’è nata e come viene portata avanti la mobilitazione che chiede la scarcerazione dello studente egiziano? Giada Rossi, compagna di corso, racconta: “A Bologna siamo una decina di studenti, ma abbiamo collaborazioni anche in Egitto, Spagna e Germania. Lavoriamo tanto, ma non ci stancheremo mai di chiedere libertà per Patrick”
BOLOGNA – Sono solo una decina di studenti, amici e compagni di corso provenienti da diversi Paesi del mondo. Ma messi insieme fanno più rumore di un esercito. Il gruppo di lavoro che sta dietro la campagna per la liberazione di Patrick George Zaky, lo studente egiziano iscritto all’Università di Bologna e arrestato al Cairo la mattina del 7 febbraio, è impegnato ogni giorno, fino a tarda notte, per mantenere viva l’attenzione sulla vicenda. Tra di loro c’è Giada Rossi, 26 anni, diventata il volto della mobilitazione: è lei che ieri sera era sul palco di piazza Maggiore, a Bologna, insieme al sindaco Virginio Merola e al Rettore dell’Alma Mater Francesco Ubertini, al termine della manifestazione che ha visto oltre 5 mila persone sfilare per chiedere a gran voce la liberazione di Zaky. Ed era sempre lei ospite domenica sera a Che tempo che fa, insieme al Rettore, intervistati da Fabio Fazio.
“È stata un’esperienza forte, che non pensavo mi sarebbe mai capitata – racconta –. Nel giro di poco tempo, la mia vita e quella dei miei compagni è stata assorbita da questa mobilitazione: è un lavoro intenso, che ogni giorno portiamo avanti con grande energia. Pian piano stiamo imparando a correggere il tiro e a organizzare la mole di lavoro, da incastrare tra le lezioni all’università e la scrittura della tesi. Per noi la cosa fondamentale è sempre la stessa: far conoscere il più possibile la vicenda di Patrick, e fare qualsiasi cosa per muoverci nella direzione della sua liberazione”.
Giada è arrivata a Bologna ad agosto dell’anno scorso per frequentare il master “Gemma”, proprio come Patrick. “Ci siamo incontrati al primo meeting conoscitivo all’università, ancora prima che iniziassero le lezioni – racconta Giada –. La prima volta che abbiamo chiacchierato stavamo andando a stampare il cartellino universitario”. È cominciata così una bella amicizia, interrotta bruscamente con l’arresto di Zaky in Egitto, mentre andava a trovare la sua famiglia.
“Appena ci è arrivata la notizia ci siamo mossi immediatamente – spiega Giada –. Per prima cosa abbiamo lanciato una petizione su change.org, che in poche ore ha raccolto centinaia di firme (oggi sono più di 170mila, n.d.r). Poi abbiamo creato un documento condiviso per raccogliere tutti gli aggiornamenti in tempo reale, le dichiarazioni e anche i nostri comunicati, che vengono pubblicati quasi quotidianamente: questo è fondamentale per riuscire a diffondere informazioni accurate e omogenee”.
Da quel momento il telefono di Giada squilla di continuo. Tanti incontri e interviste, ma la studentessa preferisce non rivelare informazioni troppo specifiche, perché il rischio sarebbe quello di mettere in pericolo se stessa e i suoi compagni. “Posso dire solo che alla campagna collaborano diverse persone in Italia, Egitto, Spagna e Germania – racconta Giada –. Stiamo provando a coinvolgere anche gruppi in altri Paesi, per diffondere il più possibile le nostre tre richieste: l’immediato rilascio di Patrick e la caduta di tutte le accuse a suo carico, la garanzia che il governo egiziano in futuro non perseguiterà né lui né la sua famiglia, e che gli sia permesso di proseguire con i suoi studi qui in Italia, e infine l’apertura di un’indagine trasparente sotto supervisione internazionale sulle circostanze del suo arresto e sulle torture subite”.
Oggi il punto di riferimento del gruppo è diventato la pagina Facebook Patrick Libero, ed è stato creato anche un indirizzo email apposito, freedomforpatrickgeorge@gmail.com, per i giornalisti nazionali e internazionali che vogliono rimanere aggiornati sulla vicenda. “La mail serve per la stampa ma anche per chiunque abbia voglia di organizzare un’iniziativa o promuovere la petizione – spiega Giada –. Per coinvolgere una platea più ampia possibile, stiamo traducendo i comunicati e i documenti che diffondiamo in inglese, italiano e arabo, e ora ci stiamo attrezzando anche per lo spagnolo”.
Alice Facchini