Biodiversità, sicurezza e competitività. Il tema della conservazione della varietà vegetale e animale in agricoltura non è solo un fatto bucolico
In Italia nell’ultimo secolo sono scomparse dalla tavola tre varietà di frutta su quattro
L’agricoltura moderna non può dimenticare la biodiversità. Lo sanno bene i contadini e i tecnici, molto meno le industrie di trasformazione e i consumatori. Questione di efficienza e di costi, si potrebbe dire, così come di controlli di accordi, ma anche di cultura e di attenzione verso un patrimonio di risorse dai molti risvolti economici oltre che scientifici e tecnici.
In occasione di uno degli ultimi Food Summit Onu, qualche mese fa a Roma, i coltivatori diretti avevano ricordato qualcosa che dovrebbero capire tutti: in Italia nell’ultimo secolo sono scomparse dalla tavola tre varietà di frutta su quattro. Senza dire che la perdita di biodiversità riguarda l’intero sistema agricolo e di allevamento. “Dalle 8.000 varietà di frutta presenti lungo la Penisola – non manca mai di sottolineare Coldiretti – si è scesi a poco meno di 2.000 e di queste ben 1.500 sono considerate in pericolo anche per effetto dei moderni sistemi della distribuzione commerciale che privilegiano le grandi quantità e la standardizzazione dell’offerta”. Questione di comodità, di novità che si fa abitudine, di convenienza economica, di semplice memoria corta: fatto sta che il mercato agroalimentare va sempre di più verso una omogeneizzazione e omologazione dell’offerta. Certo, salvo i prodotti tipici più o meno blasonati. Che, tuttavia, non possono fare l’intera offerta alimentare (anche per questioni di costo).
Eppure, sulla biodiversità molto si muove. Ad iniziare dall’Europa che, nel pieno dell’infuriare delle proteste delle ultime settimane, ha dato il via libera (con un voto del Parlamento), a quella che viene già definita la nuova genetica green No Ogm che permetterà di selezionare varietà vegetali, con maggiore sostenibilità ambientale, minor utilizzo di prodotti chimici, ma anche resilienza e adattamento dei cambiamenti climatici e, appunto, valorizzando la biodiversità. Si tratta delle Tea o Ngt (Tecnologie di Evoluzione Assistita) tecniche che non hanno nulla a che fare con i vecchi Ogm perché non implicano l’inserimento di materiale genetico estraneo alla pianta mentre permettono – hanno sottolineato proprio i coltivatori – “di riprodurre in maniera precisa e mirata i risultati dei meccanismi alla base dell’evoluzione biologica naturale”. Insistere lungo il cammino della ricerca attenta e corretta, dunque. Come è emerso qualche giorno fa nel corso di una giornata proprio sulla biodiversità organizzata dall’Accademia delle Scienze e dall’Accademia di Agricoltura di Torino. Dall’incontro “La biodiversità agroalimentare: scienza di oggi, storie di ieri” è emerso “come la biodiversità agraria sia frutto soprattutto dell’opera di selezione miglioramento genetico dell’uomo nel corso del tempo e di come questa opera debba proseguire anche con le moderne tecnologie per poter sempre più soddisfare le esigenze dei consumatori”.
Intanto le iniziative si moltiplicano, anche coinvolgendo proprio i consumatori. Basta pensare a Increase che dallo scorso novembre e per tutto febbraio punta da un lato a conservare e sviluppare la biodiversità e, dall’altro, a diffonderne la conoscenza tra le persone. Increase – creato da 25 partner europei e coordinato dall’Università Politecnica delle Marche – viene definito come un “percorso di scienza dei cittadini dove seminare la biodiversità” utilizzando semi di legumi distribuiti alla popolazione (basta farne richiesta con una apposita app) che potranno essere davvero seminati anche sui balconi delle abitazioni in città. Scienza che si fa avvicina alla quotidianità, dunque, con l’obiettivo non di riportare indietro l’orologio del progresso ma, anzi, di renderlo più alla portata di tutti.
E’ comunque un percorso lungo e complesso quello che porta alla valorizzazione della biodiversità che, occorre sottolinearlo, non sta solo nei prodotti tipici mentre costituisce un elemento di competitività sui mercati mondiali ma, soprattutto, di sicurezza alimentare per tutti noi.